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Perdono o liberazione ? A proposito di Giovanni 8:1-11

Di Michel Leconte

 

Traduzione di Giacomo Tessaro

 

I titolini proposti dalle nostre bibbie non fanno parte dei testi originali e possono indurre in errore sul senso dei testi. Per il celebre passo della “donna adultera” Michel Leconte ci guida verso una comprensione secondo la quale Gesù ci libera innanzitutto dall’uso perverso della Legge.

 

Il “va’ e non peccare più” messo in bocca a Gesù al versetto 11 del capitolo 8 del vangelo di Giovanni sembra condannare l’adulterio e invitare a un comportamento morale. Questo passo giovanneo viene interpretato come una parola sul peccato e il perdono: l’adulterio è un peccato, ma Gesù perdona. È così che le Chiese l’hanno compreso e spesso insegnato nel corso dei secoli. A causa del titolo dato solitamente a questo passo, le nostre bibbie non ci permettono di coglierne il senso.

 

Una parola di liberazione

 

Non sta in quella frase il punto notevole della storia; interpretarla così vuol dire comprenderla in modo sbagliato e capovolgerne il senso. Infatti si tratta, essenzialmente, di un atto e di una parola performativi di liberazione da parte di Gesù. Gesù libera la donna dai suoi accusatori e, una volta solo con lei, la libera dalla sua autoaccusa, dal suo senso di colpa, dicendole “Neppure io ti condanno: va’”. Gesù non prende sul serio il nostro senso di colpa e la nostra fascinazione di fronte a una Legge che divide anziché mostrare il giusto cammino. No, Dio, il Dio di Gesù non ci condanna, vuole invece che viviamo nella pienezza.

 

La donna è quindi libera di andare e di vivere perché liberata dal giudizio altrui e dal suo giudizio accusatore. Quel “va’” di Gesù è simile al “Scioglietelo e lasciatelo andare” dell’episodio della resurrezione di Lazzaro (Giovanni 11:44). La donna viene liberata dalla tomba nella quale volevano rinchiuderla. Ora può dispiegarsi la vera vita. Possiamo anzi dire che Gesù ha veramente risuscitato la donna liberandola dai suoi accusatori e dalla sua autoaccusa. Così facendo, ella è libera di vivere una nuova vita.

 

La scena denominata “della donna adultera” è mal etichettata, perché mettere in primo piano l’adulterio della donna vuol dire assumere il punto di vista dei suoi accusatori, che pretendono di essere i difensori zelanti della Legge e dei buoni costumi. In realtà in questa scena l’accusato principale non è la donna, bensì Gesù con il suo messaggio di liberazione e di misericordia. Su questa donna invece il testo nulla dice, e nulla sappiamo. Certamente è adultera di fronte alla Legge, ma chi può dire che abbia peccato contro l’amore? Sarebbe già scagliarle la pietra… Non condannando la donna, Gesù contesta la Legge di Mosè, o perlomeno il ruolo nocivo che le si faceva assumere, schiacciando gli esseri umani ed esercitando su di essi una violenza omicida. Come può questa Legge essere divina se ordina di uccidere gli amanti adulteri a colpi di pietre?

 

“Non condannerai il tuo prossimo”

 

Trarre un insegnamento morale da questo episodio significa non capirne il senso profondo. Quello che Gesù vuole far capire a chi lo ascolta non è che non devono peccare – questo lo sanno già – ma che non devono accusare, che non devono giudicare né, a fortiori, condannare, ma devono diventare misericordiosi come il loro Padre dei cieli. L’imperativo assoluto diventa allora “non giudicherai”, “non condannerai”. Gli uomini che pretendono di giudicare e condannare appartengono al mondo delle tenebre, perché per Gesù sono inumani. Ma Gesù non condanna neppure loro. Al contrario, attraverso la sua Parola libera anch’essi, perché anch’essi si scoprono sotto l’autorità della Legge, eseguibile solamente se tutti la applicano. Da schiavi che erano, si scoprono soggetti alla Legge. Senza la loro buona fede ritrovata, la donna sarebbe morta sotto le loro pietre.

 

L’insegnamento di Gesù non insiste sul peccato di adulterio – sarebbe banale – ma su quello, infinitamente più grave ai suoi occhi, dell’esclusione morale, del giudizio sugli altri attraverso un uso perverso della Legge. Infatti il problema della Legge e della morale è che possono avere degli effetti dannosi sul prossimo. Il criterio proposto da Gesù per giustificare la Legge è la sua esposizione all’altro come fondamento della responsabilità. La Legge è legittima se tiene conto dei suoi effetti sulle persone. Quando viene assolutizzata senza tenere conto delle persone la Legge diviene perversa e omicida, serve come autogiustificazione e accusa verso il prossimo: è proprio quello che accade in questa scena.

 

Gesù del resto non pronuncia alcuna parola di perdono e la donna alcuna parola di pentimento. Gesù le dice solamente “Io non ti condanno”. Questa parola è la chiusa finale con cui termina l’episodio, che così trova la sua unità. Il “non peccare più” mi sembra essere un’aggiunta del redattore finale, che non rispetta il senso dell’insegnamento di Gesù e non ha potuto fare a meno di dargli un tono da moralizzatore. Bisognava salvare la morale!

 

Dicendo questo, sono cosciente che la mia opinione è a forte rischio di scioccare alcuni e di parere sospetta agli occhi dei moralisti benpensanti. Tuttavia, l’esegeta tedesco Dieter Lührmann sottolinea che “nella versione più antica della pericope, rivelata dal Commentario all’Ecclesiaste di Didimo il Cieco, rinvenuto a Toura, manca questa esortazione finale di Gesù”. Enrico Norelli, che cita Lührmann, evoca l’ipotesi secondo la quale “il finale della pericope della donna adultera appartiene a una tappa relativamente tardiva dello sviluppo di questo racconto”.

 

Il vero peccato: credersi separati da Dio

 

Al di là delle ipotesi sullo stato primitivo del testo, l’esclusione attraverso il giudizio e la condanna sembrano davvero essere il peccato che Gesù combatte, qui come in molti altri passi dei vangeli. Condannare ed escludere una persona vuol dire rompere definitivamente ogni relazione con lei e vuol dire anche tagliarsi fuori da Dio: “Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi” (1 Giovanni 4:12). Amare vuol dire lottare contro la separazione: l’esclusione è l’opposto dell’amore.

 

A chi ci tiene a conservare il finale del testo canonico “va’ e non peccare più” dirò allora che il peccato dal quale Gesù vuole che la donna si astenga in primo luogo non è l’adulterio ma il credersi giudicata e condannata da Dio, come gli scribi e i farisei volevano farle credere con la loro falsa lettura della Legge di Mosè. Il Dio di Gesù “la accetta proprio quando si sente inaccettabile”, per riprendere una formulazione di Tillich. Il peccato supremo, il peccato contro lo Spirito contro il quale Gesù stesso non ha alcun potere, non è forse il credersi maledetti e separati da Dio? Gesù infatti qualche versetto dopo dice: “Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno” (Giovanni 8:15).

 

Estremo atto liberatorio

 

È interessante notare che, dopo aver liberato la donna dalla violenza dei suoi accusatori, Gesù stesso diviene oggetto di giudizio e di esclusione violenta: i farisei esasperati “presero delle pietre per tirargliele” (Giovanni 8:59) allo stesso modo in cui, dopo aver risuscitato Lazzaro, i gran sacerdoti e i farisei “decisero di farlo morire”. Gesù finirà sulla croce: l’assoluta nonviolenza del suo sorprendente messianismo. Gesù ci salva rinunciando a ritorcere la nostra violenza e il nostro odio contro di noi. Dio ci libera.

 

“Perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli” (Isaia 53:12). È così che Dio disarma i violenti. In lui non c’è alcuna vendetta.

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À propos Gilles

a été pasteur à Amsterdam et en Région parisienne. Il s’est toujours intéressé à la présence de l’Évangile aux marges de l’Église. Il anime depuis 17 ans le site Internet Protestants dans la ville.

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