Di Sylvie Queval
Traduzione di Giacomo Tessaro
Se esiste una parola ambigua, questa è senza dubbio “voto”. Del voto si dice facilmente che è pio, e questo aggettivo non è certo un complimento. Questo genere di pietà è ipocrisia perché formulare un voto pio significa credere già che non verrà rispettato. Tanto vale dire “velleità” o “sogno impossibile”. Possiamo sorridere del fatto che la pietà divenga sinonimo di menzogna quando accompagna un voto. Eppure è proprio con pietà che i religiosi pronunciano i voti. Sono “pii” quei voti di povertà, castità e obbedienza? Non sta a noi rispondere.
Capiamo come ogni voto rischia di non essere altro che un vano sogno perché il voto pretende di padroneggiare il tempo. Fare un voto significa, nel senso etimologico (dal latino “vovere”), fare una promessa, dire oggi cosa sarà domani. C’è una certa tracotanza nel voto che pretende in questo modo di controllare il divenire.
Non stupisce dunque che questa parola così ambiziosa abbia finito per assumere un senso impoverito e sminuito. Da promessa e impegno ha finito per esprimere solamente “auspicio”, che sembra essere molto poco in confronto al primo senso. Formulare dei voti è quindi niente di più che esprimere una speranza.
E se la vera pietà non fosse in realtà in quell’atto di speranza e di fiducia nell’avvenire che è l’espressione dei voti? Concepire un voto significa credere che il peggio non è scontato e che il meglio è possibile, contro e malgrado tutti gli ostacoli. La formalità dei voti a inizio anno può allora essere qualcosa di più che conformarsi a un rituale se la viviamo nella coscienza che, osservandoli, facciamo affidamento sulla speranza. Ecco perché formulo per voi, lettrici e lettori, il voto sincero di un anno di pace e di amore.
Pour faire un don, suivez ce lien