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Commento biblico: Io, Davide, l’insubordinato

(1 Samuele 17)

Di Philippe François*

Traduzione di Giacomo Tessaro

I passi biblici sono tratti dalla versione Nuova Riveduta

* Philippe François, pastore dell’Unione delle Chiese Protestanti di Alsazia e Lorena, è autore di una “Antologia protestante della poesia francese” e del blog “Journal d’un pasteur concordataire”.

Se “ogni protestante è Papa, Bibbia alla mano”, come diceva l’umorista Nicolas Boileau, per me è molto interessante chiedere ai miei correligionari, a prescindere dalle tendenze personali, qual è il loro passo biblico preferito: è un modo ludico (senza andare troppo sul teologico) e personale (incarnato) di abbordare la questione del “canone nel canone” (biblico). E dato che “non è mai vero che ci dimentichiamo di noi stessi” (André Dumas), rispondo poi io stesso alla mia domanda citando il capitolo 17 del primo libro di Samuele: ho la costante sensazione che tale testo sia stato scritto per me, o per meglio dire, è il testo che avrei voluto scrivere se fossi stato uno scriba gerosolimitano del VII secolo avanti Cristo.

1 Samuele 17 racconta il combattimento tra Davide e Golia. Il mio primo incontro con questo testo, nella sua versione ebraica, risale al mio primo anno di teologia; il secondo, nella traduzione francese Segond, quando ho dovuto scegliere un’epigrafe per la mia tesi di dottorato, penultimo atto della mia formazione teologica in quel di Strasburgo (prima della discussione): “Poi [Davide] prese in mano il suo bastone, si scelse nel torrente cinque pietre ben lisce, le pose nella sacchetta da pastore, che gli serviva da bisaccia, e con la fionda in mano si diresse verso il Filisteo” (versetto 40). Citazione di circostanza, un filo provocatoria, al termine di un lungo percorso universitario, in previsione della discussione di fronte a cinque pietre ben lisce, ovvero una commissione di cinque membri, tutti giganti nel loro campo; maniera letteraria e letterale di far capire da una parte che non avevo paura, e dall’altra che ero di umore decisamente combattivo (spesso le discussioni di tesi, nelle università francesi, sono dei veri e propri combattimenti, e fu anche il mio caso).

Poi, con il passare degli anni, ho letto e riletto, sempre con il medesimo piacere, non tanto il racconto del combattimento (i versetti dal 41 al 51, sui quali si appoggia un certo protestantesimo francese letteralista per proporre una visione inevitabilmente e ferocemente trionfalista della fede cristiana), quanto i preparativi.

Ricordiamo l’episodio: il giovane pastore Davide scende dalle montagne per portare i viveri ai suoi fratelli, soldati nell’esercito del re Saul. Corre per il campo la proposta di una sfida tra i campioni dei due schieramenti, Davide si fa avanti e, per mancanza di altri pretendenti, viene scelto. Ecco quindi che “Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e gli fece mettere la corazza. Poi Davide cinse la spada di Saul sopra la sua armatura e cercò di camminare, perché non aveva ancora provato; allora disse a Saul: «Non posso camminare con questa armatura, non ci sono abituato». E se la tolse di dosso” (versetti 38-39).

Tale atto radicale di sbarazzarsi della zavorra trova una eco nella genesi del movimento riformatore protestante, che a partire da Lutero si è sbarazzato della maggior parte dell’apparato ecclesiastico del cattolicesimo romano, fondato su una tradizione divenuta ormai pesante. Per “tutti gli amanti di Gesù Cristo” (Giovanni Calvino) della mia generazione, la questione si è posta in maniera molto diretta in campo teologico, a proposito dell’uso che bisognava fare delle grandi opere dei teologi tedeschi, in particolare dei ventisei volumi (nell’edizione francese) della Dogmatica ecclesiale di Karl Barth (1886-1968), che tanto ha segnato la teologia pre-1968.

Confortati dalla scelta di una piccola fionda, invece che di una pesante spada, sono state alcune righe del teologo americano di origine tedesca Paul Tillich (1886-1965) relative al principio protestante e alla teologia della cultura, come anche l’insegnamento di Gabriel Vahanian (per esempio, il fatto di ripartire da zero ogni giorno) a poter essere la dogmatica portante (ma ovviamente sono possibili anche altre scelte) con la quale mi sembra possibile navigare sereno e fiducioso, come Davide che percorre alleggerito la distanza tra il suo campo e il teatro del combattimento, in un mondo sempre più incollato agli schermi.

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À propos Gilles

a été pasteur à Amsterdam et en Région parisienne. Il s’est toujours intéressé à la présence de l’Évangile aux marges de l’Église. Il anime depuis 17 ans le site Internet Protestants dans la ville.

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