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Il mito : volto nascosto della scienza e della fede ?

Per liberarsi dal mito definiscono il principio come l’origine e il fondamento permanente di ogni cosa : una specie di assoluto che garantisce la coerenza dell’universo. Però non vanno d’accordo sulla sua natura : l’uno identifica il principio con l’acqua (Thales), l’altro con l’aria (Anasimene), o ancora a nozioni più astratte come l’infinito (Anasimandro), il numero (Pittagora), il pensiero animato (Eraclite), l’essere unico (Parmenide, Zenone) o multiplo (Empedocle).

Questo passaggio del pensiero mitico al pensiero razionale ci interroga oggi ancora. Per gli uni la rottura è totale : si passa dall’oscurantismo religioso ai lumi dello spirito razionale. Per gli altri vi è si un ribaltamento ma non è mai completo, perchè c’è già una parte di scienza nel mito e rimane sempre una parte di mito nella scienza.

Che cosa diventa il mito nel discorso teologico e scientifico ?

Il discorso mitico ha perso oggi la sua credibilità, tranne che nel campo artistico, ma è esso veramente scomparso dal discorso teologico e scientifico? Fin dalle sue origini all’epoca dei Padri della Chiesa, la teologia cristiani a dovuto confrontarsi nello stesso tempo alla mitologia, alla filosofia e al discorso scientifico nascente. Contrariamente a certi uomini di scienza attuali che cercano di rimandare la teologia nel solo campo della mitologia, la teologia cristiana tentò fin dall’inizio di porsi nel campo della filosofia. Secondo Giustino Martire (morto nel 163) per esempio, il Cristo, logos incarnato, è il solo filosofo autentico.

La teologia, anche se rimanda a qualcosa dell’ordine del mito, del racconto simbolico, si vale nondimeno di metodi razionali, frutti della riflessione, per elaborare il suo discorso. È un discorso comprensibible e argomentato a proposito di un Soggetto che supera la ragione e non può quindi essere descritto altrimenti che tramite un linguaggio metaforico. Partendo da un discorso su Dio o da una Parola di Dio, la teologia costruisce una visione ordinata del mondo che permette al credente di situarsi di fronte alle Scritture e alle realtà del mondo in cui vive.

Stranamente la stessa scienza non è interamente estranea al mito. Il nocciolo simbolico di ogni discorso scientifico, anche validato dalla dimostrazione sperimentale, risiede nell’inevitabile suo impiego di concetti schematici per descrivere la realtà. I concetti pur precisissimi elaborati dai cercatori mantengono sempre un certo distacco con l’inafferrabile natura del mondo, in modo che la scienza rimane sempre un sistema aperto : non finisce mai di imparare e di affrontare nuove questioni.

Tale incertezza è messa in luce dai progressi della fisica moderna che chiamano in causa i concetti scientifici più tradizionali, di spazio, di tempo, di materia e di energia, tanto per cominciare. Al punto che i principi scientifici quali la causalità temporale, il determinismo, l’universalità delle leggi fisiche o la distinzione tra l’osservatore e l’oggetto osservato sono diventati problematici l’uno dopo l’altro con il sorgere della fisica dei quanta. È dunque pertinente riconoscere che questi principi funzionano nel seno della scienza come dei « residui mitici », vale a dire come dei riferimenti non dimostrabili ma nondimeno indispensabili nel quadro delle nostre rappresentazioni attuali della realtà.

Si può osservare una simile situazione nel campo delle scienze della vita confrontate con le questioni legate alla definizione del vivente. A valle c’è un dibattito nei rapporti tra fisica e biologia: è possibile definire la vita partendo dai soli registri fisici (termodinamica, chimica organica ecc.) o al contrario vi è necessità di ricorrere a nuove nozioni strutturali (sistemica, codificazione genetica, evoluzione per via della selezione naturale ecc.)? A monte c’é dibattito tra neuroscienze e psicologia a proposito delle relazioni tra l’attività neuronale e i fenomeni psichici (memoria, emozioni, coscienza ecc.). In questo caso la scienza raggiunge suo malgrado il dominio dello spirito e delle sue manifestazioni, conducendo gli scienziati a dover prendere posizione su nozioni inevitabilmente legate alle loro radici mitiche (l’anima, l’inconscio, il sogno, la speranza ecc.).

La complementarietà e l’impossibile unificazione dei saperi

Questi divari tra diversi orizzonti di rappresentazione fanno risaltare l’impossibile unificazione dei saperi umani. Ci sarà sempre nelle scienze, la filosofia e la teologia, una molteplicità di approcci parzialmente complementari e concorrenziali. La vecchia distinzione tra fisica e metafisica stabilita da Aristotele, ripresa da Kant (1724-1804) tra fenomeno (la cosa comme appare) e noumeno (la cosa com’è), resta un limite invalicabile per tutti i discorsi umani, sia quello scientifico che descrive le interazioni tra gli elementi del mondo, sia quello filosofico che riflette su larga scala al reale e al significato, o ancora quello teologico che pensa l’esistenza e il mondo in relazione con un’intento divino. Metter in risalto questo limite della perspicacia umana è un invito alla modestia e all’apertura, valori senza i quali non è possibile intravcedere una complementarietà delle discipline.

Paradossalmente un racconto biblico come quello della torre di Babele, pur mitologico, denuncia chiaramente l’orgoglio e la sete di potere ben reali nascosti dietro ogni tentativo umano di unificare i saperi in un solo pensiero autosufficiente.

L’etica punto d’incontro

Non si tratta di mettere sullo stesso piano il discorso scientifico e quello teologico. Sarebbe un errore grossolano almeno quanto il suo opposto che consiste nel separarli completamente. Nella sua prima intenzione il discorso scientifico non mira ad altro che descrivere il mondo reale così com’è. L’intenzione della teologia sembra tutt’altra visto che pone fin dall’inizio un al di là del mondo che interroga l’uomo. La scienza sarebbe quindi descrittiva quando la teologia condurrebbe a interrogarsi su di se. Pertanto separare radicalment i loro domini, alla scienza il temporale, il terrestre, e alla teologia l’eterno, il celeste, è inadeguato per più ragioni.

Quando descrive il mondo la scienza fa sorgere nuove possibiltà perchè inventa delle tecniche nuove le quali a loro volta implicano una gestione etica in vista del futuro. Lo scienziato fatto tecnico è un attore che deve porsi la questione del senso e del valore di ciò che sta realizzando. È qui, tramite l’etica, che la scienza raggiunge la gestione globale del nostro modo di vivere e per finire la spitualità.

La teologia raggiunge lo stesso dominio dell’etica e della spiritualità dall’altra parte. Lungi dal restar ferma ad interrogarsi sull’ultimo, sul Dio celeste, la teologia è chiamata a chiedersi quali siano gli effetti della grazia e della fede sulla vita ordinaria del credente e della società. A lei come alla scienza ne importa dell’avvenire dell’uomo. Così scienza e teologia sono chiamate a dialogare, a collaborare e a completarsi a vicenda nel grande campo di esperienza e di azione che comprende l’etica e la spiritualità, la gestione della vita individuale e commune.

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