La bellezza non si stabilisce, la bellezza si sente. La bellezza è contemporaneamente individuale, flessibile e multiforme, poiché ci tocca, a ciascuno in modo diverso, si adatta ai nostri umori, e solletica più di uno dei nostri sensi. La bellezza è misteriosa ed è questo mistero che ne fa l’anticamera della spiritualità.
La spiritualità è per me di difficile accesso, e la bellezza è una mezzo efficace per tentare di giungere a una certa serenità, preludio a una forma di spiritualità. Bellezza che, attraverso il suo mistero, permette di addomesticare un mistero ancora più grande.
A questa dimensione verticale si aggiunge una dimensione orizzontale, poiché la bellezza dischiude una comunione con tutti coloro che, da vicino o da lontano, condividono questo fervore; ma anche comunione di spiriti con tutti coloro che hanno pensato, costruito, scritto, dipinto questi capolavori; che siano geniali architetti, pittori, vetrai, scrittori, musicisti, o umili lavoranti, sono andati al di là del loro mestiere, hanno elaborato il ricettacolo del mistero.
Perché tanti sforzi, tanta abnegazione solo per onorare un dio, una credenza, in un mondo di povertà e di miseria?
Una risposta possibile si trova nella ricerca quasi ossessiva degli uomini a far convergere la spiritualità e la bellezza, bellezza dei luoghi, ma anche bellezza dei testi, dei canti, delle musiche; e infine, che resta delle religioni antiche se non le loro opere d’arte?
La bellezza che si esprime nell’arte non è forse, per esigenza sua, un complemento indispensabile alla spiritualità, l’humus necessario a ogni pratica mistica per sbocciare?
L’arte non è spirituale in se stessa, e lo spirituale non è necessariamente artistico, ma hanno in comune di obbligare l’uomo a passare dal visibile all’invisibile, a meravigliarsi al di fuori di ogni razionalità, e di conseguenza, a trascendere le sue incertezze.
Se lo spirituale lega gli uomini alla trascendenza senza preoccupazioni di appartenenza, la bellezza funge da trait d’union tra l’uomo e il sacro. Essa è anche il trait d’union che lega le epoche tra loro, allo stesso modo in cui può fare la medesima cosa tra le diverse religioni.
Nelle nostre credenze, quando cerchiamo di rappresentarci l’invisibile, non possiamo immaginare un dio brutto. Dio ha tutte le qualità ed è per forza bello. Bello per me, bello per gli altri, bello in tutte le epoche, bello in tutte le religioni. Con questa premessa è normale che i templi e le chiese siano il riflesso di colui che celebrano, che i canti e le musiche siano più melodiosi possibile e che le pitture e le immagini siano testimoni del fervore umano. Allora cosa c’è di più naturale che far realizzare queste opere da artisti di genio. L’artista, con la sua capacità di sublimare la realtà, ci obbliga a entrare nel mondo dell’inesplicabile dove la meraviglia fa posto alla ragione pura.
Certamente, oggigiorno non c’è affatto l’atmosfera adatta per questa riflessione. Ma che importa, mi piace pensare che se ogni essere umano si prendesse il tempo di sedersi un’ora alla settimana in questi luoghi magici, senza parlare di ufficio o di religione, ma semplicemente per riflettere, il mondo andrebbe molto probabilmente un po’ meglio.
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