Di André Gounelle
pastore, professore onorario all’Istituto protestante di teologia di Montpellier, autore di numerosi libri e collaboratore di Évangile et Liberté da 50 anni.
Traduzione di Giacomo Tessaro
La teologia, come ogni disciplina, è una ricerca permanente, per questo ha bisogno di costruire un suo vocabolario, che evochi le idee che essa va elaborando. Ma, come in tutti i linguaggi specialistici, le sue parole divengono a volte inaccessibili. In questa serie vogliamo rendere più semplici delle parole che in realtà non lo sono. La teologia è alla portata di tutte e tutti!
“O Dio, perché? Perché permetti i drammi, le miserie e le crudeltà di questo mondo? Cosa aspetti per intervenire e far cessare questi orrori?” Sono molte le pagine della Bibbia che pongono questo interrogativo, con i toni del lamento oppure quelli dell’accusa: i Salmi, i profeti, Giobbe e lo stesso Gesù, con il suo grido sulla Croce: “Eli Eli lama sabachthani?” [O Dio, o Dio, perché mi hai abbandonato?]. Sono numerosi i credenti tormentati e disgustati dalla sofferenza propria e del prossimo. Sempre la fede si dibatte nel male di vivere, che probabilmente è la cosa che più di ogni altra non smette di minacciarla, scuoterla e corroderla.
In un libro pubblicato nel 1710 dedicato a questo argomento il filosofo Leibniz conia (o comunque introduce) il termine “teodicea”, composto dall’unione di due parole greche: “theos”, che designa Dio, e “dike”, che significa “giustizia”. Una teodicea è un tentativo di dimostrare la giustizia di Dio, risolvendo l’enigma del male ma impedendo di attribuirne la responsabilità a Dio, quindi in qualche modo giustificandolo o assolvendolo.
Ci sono molte teodicee. Secondo alcune, non è compito dell’essere umano giudicare Dio e chiedergli conto del male; il libro di Giobbe segue questa linea. Secondo altre, ciò che a noi sembra un male in realtà non lo è, e dobbiamo imparare a vedere nelle nostre sofferenze, anche le più acute, la benevolenza di Dio; è pressapoco la posizione di Calvino. Altre linee di pensiero ritengono che Dio non sia onnipotente, che il male accada contro la sua volontà, che Dio vi si opponga e che finirà con l’eliminarlo nel suo Regno futuro; è più o meno la posizione di Wilfred Monod e della teologia del processo. Ed esistono molte altre risposte.
Scriveva Camus che al capezzale di un bambino in agonia non c’è teoria che tenga; quello che è urgente non è spiegare il male, ma combatterlo e farlo retrocedere. È un’osservazione profondamente giusta, che però non ostacola una riflessione di fondo sulla questione della teodicea.
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