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Il secolo dei Lumi e la nascita della teologia liberale

Se i teologi pensavano di fare della Bibbia la sola norma di fede, investendola di autorità assoluta, il pensiero degli Illuministi inclinava piuttosto verso la critica. Come coniugare allora autorità e critica? Ecco tutto il problema, ora come allora. Quel ritorno delle Scritture era infatti la conseguenza di una eclissi dell’Essere. L’ontologia girava in tondo. Che cosa si può sapere dell’Essere? Esiste un rapporto, e sotto quale modalità, tra l’Essere di Dio e l’Essere dell’uomo? Si produce un cambiamento nell’Essere, e di quale natura, al momento del passaggio dall’essenza all’esistenza? L’espulsione di Adamo ed Eva dal Paradiso sarebbe il racconto teologico di questo cambiamento di stato? Buona parte del pensiero medievale aveva concentrato le sue energie attorno all’Essere, ed ecco che questa ricerca brutalmente si insteriliva, finiva in una impasse. Il testo ritrovava il suo statuto di Parola e ridiceva, come un tempo a Mosè sul Sinai: “Io sono colui che sono.” L’Essere può solo dirsi.

La critica era lastricata dalle migliori intenzioni, ma non sempre aveva i mezzi scientifici adeguati alla sua audacia iconoclasta. Durante più di due secoli essa sosterrà l’illusione che si possa, attraverso la critica dei testi, ritrovare il Gesù della storia. Bisognerà attendere le opere di Albert Schweitzer (1875-1965) e di altri che lo seguiranno per riportare ad una collocazione più umile questo aspetto della ricerca teologica. Gesù sfugge alla storia, è giocoforza ammetterlo, ma è poi così grave?
Isaac Newton, uno scienziato molto religiosoLa biblioteca dei grandi uomini riserva spesso delle sorprese; l’inventario di quella di Newton (1642-1727) non sfugge alla regola. Su 1.752 titoli, numero piuttosto considerevole per l’epoca, troviamo 477 libri di teologia, 126 di matematica, 52 di fisica e una collezione poliglotta di 34 Bibbie. Uomo di scienza, Newton non esita a partecipare ai dibattiti teologici del suo tempo. Egli rifiuta le due nature di Cristo e pensa che la religione non dovrebbe perdersi nelle speculazioni metafisiche ma dare ai popoli una morale pragmatica.

Questo pragmatismo, così caratteristico della cultura inglese, non basta tuttavia a rispondere alle domande poste dalla specificità della Rivelazione in Gesù Cristo. Newton annette poca importanza al Gesù della storia, sono la figura e la funzione messianica del Cristo l’oggetto della sua fede profonda. Per lui, la fede cristiana verte sulla finalità della Creazione, l’escatologia e la speranza di cui è portatrice, più che sui misteri insondabili delle modalità sorprendenti della Rivelazione. L’abbandono del mistero da parte di Newton scaturisce certamente da una forma di fedeltà alla Ragione alla quale John Locke (1632-1704) si prodigherà di concedere il posto che ormai le spetta.

Nel “Cristianesimo ragionevole” Locke cerca di conciliare una religione cosiddetta naturale con la Rivelazione biblica. Un esercizio non facile. Se la Natura è un grande libro, bisogna però avere gli strumenti che permettano di leggerla e comprenderla. Paradossalmente la Natura pone lo stesso problema ermeneutico del testo biblico, perché leggere è una cosa, interpretare è un’altra. E poi ancora, ma l’idea non sfiora Locke, la Natura è davvero un testo? È capace di una Parola, o tutt’al più di una onomatopea, un Big Bang? Locke schiva il problema e alla fine perora la causa del rendere gli articoli di fede accettabili dalla Ragione e comprensibili a tutti.

Si può essere tentati di richiudere questo dossier parafrasando Shakespeare: “Molto rumore per nulla”. Tuttavia sarebbe ingiusto non attribuire a Locke la paternità di una teologia dell’esperienza che, proprio come il pragmatismo, è una costante della cultura inglese. Locke parte dall’uomo per conoscere Dio, l’autenticità della fede rimanda permanentemente all’esperienza del soggetto. Certo, questo significa imboccare il cammino inverso rispetto a quello così ben descritto da sant’Agostino nelle Confessioni e magistralmente teorizzato da Calvino nelle prime righe dell’Istituzione della religione cristiana: “Tutta la somma della nostra saggezza, la quale merita di essere chiamata vera e autentica saggezza, si compone di due parti, e consiste nel fatto che conoscendo Dio, noi conosciamo noi stessi.” Rimane il fatto che tra i tremolii dei Quaccheri e lo spettacolo offerto da certe chiese dei nostri giorni, il protestantesimo sarà la Terra Promessa di questa teologia dell’esperienza.
Un cristianesimo senza misteri, senza miracoli e senza sacrificiSotto la critica della Ragione la riflessione doveva andare più lontano, e John Toland (1670-1722) pose di nuovo la domanda a partire dalle Scritture. Con Lutero la Riforma aveva trovato il suo ancoraggio nell’affermazione dell’apostolo Paolo: “Il giusto vivrà per fede.” La storia della salvezza ruotava esclusivamente attorno all’opposizione Legge-Evangelo e salvezza per opere-salvezza per grazia. Cristo concentrava in sé tutta questa problematica e la risolveva con la sua morte sulla croce, interpretata come espiazione per i peccati dell’umanità. Questa comprensione si doveva interamente al pensiero di Paolo; storicamente, cristianesimo e paolinismo si sono confusi rapidamente e la Riforma, soprattutto nella sua versione luterana, non ha fatto che confermare questa opzione.

Ancora una volta la questione del Gesù storico tornava in primo piano. Benjamin Hoadly (1676-1761) tentò a sua volta di ritrovare ciò che Gesù e i suoi discepoli avevano veramente voluto dire. Egli si applicò, più che all’etimologia, a sottolineare l’usura delle parole, aprendo così una riflessione che troverà il suo compimento nelle opere del teologo tedesco Paul Tillich (1886-1965), secondo il quale il linguaggio religioso è, nella sua essenza, simbolico, e che certi simboli si usurano fino a morire. Ma, di fronte alle difficoltà poste dall’interpretazione dei testi, il buon Benjamin Hoadly si affrettò a credere che la vera Chiesa istituita da Gesù Cristo non era di questo mondo, e che esisteva una Chiesa invisibile. Certo l’idea non era totalmente nuova, ma Hoadly portava ancora un po’ d’acqua al mulino di chi pensava che bisognasse relativizzare l’istituzione e le sue forme, talvolta fino a relegarla al ruolo di semplice strumento.

Scacciare i misteri e i miracoli poteva comprendersi nel quadro della volontà di combattere un oscurantismo che aveva fatto infiniti danni alla verità evangelica, ma rimettere in discussione la comprensione sacrificale della morte di Cristo sulla croce rivelava un’audacia confinante con la blasfemia. Il secolo dei Lumi non si accontenta di criticare in nome della Ragione, esprime anche una contestazione etica di fronte all’insopportabile, di più, all’inaccettabile logica di un Dio crudele e geloso.

L’origine di questa comprensione sacrificale risale al Nuovo Testamento sulla base dell’interpretazione di Levitico 17,10-12, ma il suo posto centrale nella dottrina della Chiesa deve molto ad Anselmo d’Aosta (1033-1109). Partendo dalle concezioni comuni nel diritto germanico, Anselmo postula che ogni torto causato chiama un castigo o una soddisfazione che devono corrispondere all’importanza della perdita. Questa riparazione deve poi superare la perdita per compensare così la sofferenza della persona lesa, ciò che chiamiamo ancora oggi una riparazione del pregiudizio materiale e morale. Secondo il suo metodo, l’illustre teologo dell’undicesimo secolo persegue il suo ragionamento con una sorta di successione logica. Il peccato che lede un Dio infinito è un male infinito che chiama quindi una soddisfazione di valore infinito. Nessun uomo può apportare tale soddisfazione poiché siamo tutti finiti e colpevoli. In questo quadro, la morte di Cristo non ha niente a che vedere con il bisogno di vendetta di Dio, essa è l’espressione ultima del diritto, solo il sacrificio di Cristo sulla croce presenta un valore infinito, perché egli è Dio e nello stesso tempo uomo. A partire da quest’epoca, questo dibattito sul significato della morte di Gesù si ritroverà in diverse correnti teologiche, in maniera particolare al centro delle ricerche di Albert Schweitzer nel “Segreto storico della vita di Gesù” o ancora, in un modo inatteso e destabilizzante per un buon numero di teologi preoccupati dell’ortodossia, nelle opere del filosofo e antropologo René Girard.

Nell’ultima parte del suo libro Bernard Cottret mostra che, tra le arti, la musica ha conosciuto gli stessi dibattiti. Nelle sue Passioni come nelle sue Cantate, Johann Sebastian Bach assume il ruolo dell’arbitro tra il pietismo diffuso da Spener e l’ortodossia luterana, ma le sue innegabili testimonianze di ortodossia non spiegano da sole la profondità e l’altezza di quella musica incomparabile. Schweitzer ha certamente ragione quando nel suo libro “Johann Sebastian Bach. Il musicista poeta” (Jean-Sébastien Bach. Le Musicien-poète [inedito in Italia n.d.t.]) dice: “In fondo, Bach non era né pietista né ortodosso: era un pensatore mistico. Il misticismo, ecco la sorgente viva da cui sgorgava il suo pensiero.” Sarà ancora la musica, in mancanza di una teologia originale, a diventare l’arma principale del metodismo, grazie agli inni di Charles e John Wesley (1703-1791). Il tono ora lo dava il romanticismo, i sentimenti repressi dovevano solo riversarsi e alimentare il protestantesimo del Risveglio.
Gli Illuministi tedeschi contro l’ortodossia luteranaMentre in Francia gli Illuministi se la prendono violentemente con la Chiesa cattolica, nella Germania protestante si confronteranno con un forte avversario, l’ortodossia luterana. Nel corso del sedicesimo e del diciassettesimo secolo il protestantesimo si sforzerà di rivaleggiare con quel monumento che è la tradizione cattolica, passando al vaglio dei suoi principi teologici tutti gli elementi della scolastica classica. Questo bisogno, che si fa sentire a partire dagli anni 1560, si spiega in gran parte con la virulenza delle controversie nelle quali il campo protestante è sistematicamente accusato di povertà teologica da parte dei suoi avversari. È vero che il brutale rifiuto della scolastica del tredicesimo e quattordicesimo secolo limitava il discorso teologico alle Scritture e ai Padri della Chiesa. Il bagaglio intellettuale della Riforma passava per essere non solamente leggero ma anche estremamente vago. In Francia un maestro della polemica come Bossuet (1627-1704) non mancherà di stigmatizzare le Chiese protestanti sul tema delle loro varianti. Varianti che d’altronde non erano unicamente di ordine intellettuale, ma che si traducevano anche in una scissione del protestantesimo in innumerevoli gruppuscoli.

Johann Gerhard (1582-1637) è un esempio tipico di quei teologi che tenteranno di riprendere tutti i temi della scolastica per strutturare al massimo la dottrina della loro Chiesa; la sua opera è comparabile alle monumentali summe della scolastica medievale. L’ortodossia luterana svilupperà due principi irrinunciabili: il primo è il principio materiale della dottrina della giustificazione per fede, o più esattamente per grazia mediante la fede. Fonte di incomprensione e di costante confusione, soprattutto perché si ritiene che sia la fede che salva, e che sarebbe sufficiente credere per essere certi della propria salvezza, questo principio non verrà messo in discussione dalla critica razionalista degli Illuministi. Il secondo non è altro che il celebre Sola Scriptura. Divenuto rapidamente un principio fisso e rigido, sarà al centro delle critiche tanto a causa delle ricerche sul Gesù storico che delle nuove domande poste dall’ermeneutica in generale.

Il primato assoluto della Scrittura resisterà a lungo agli assalti degli Illuministi, e perdura in maniera dannosa nelle letture fondamentaliste al tempo stesso ingenue e pericolose della Bibbia. Il protestantesimo non si è mai completamente sbarazzato del principio secondo il quale la Scrittura interpreta la Scrittura. Di conseguenza la lettura basta a se stessa, il testo e la sua storia, i problemi di traduzione come la propria soggettività di lettore non vengono presi in considerazione. Irrigidendo sempre di più il principio scritturale, l’ortodossia perdeva di vista che una semplice lettura credente non esiste al di fuori della doppia ispirazione dello Spirito Santo, punto sul quale a suo tempo Calvino aveva fortemente insistito come per prevenire i fondamentalismi futuri. Si allontanava anche da una lettura erudita che non si riduceva unicamente alla conoscenza delle lingue antiche, o al contesto storico, ma più generalmente alla comprensione di ciò che è un testo secondo le regole della retorica classica, anche questo al centro dell’ermeneutica di Calvino per il quale la Parola di Dio implica tre aspetti: essa identifica colui che parla, veicola un messaggio preciso, e si indirizza a un particolare uditorio. Bisognerà attendere la reazione pietista e la critica degli Illuministi perché il protestantesimo si munisca infine di ciò che si è stabilito chiamare il quadrilatero ermeneutico, ovvero che la Scrittura interpreta la Scrittura. Essa viene anche interpretata dalla Tradizione e in particolare dalla teologia dei primi secoli. Questi due punti sono conformi alla stretta ortodossia, ma sotto l’influenza pietista il terzo punto integra l’esperienza individuale e comunitaria. Infine la Ragione interviene come strumento di differenziazione critica.

Storicamente la tempesta fu scatenata indirettamente da Lessing (1729-1781) che pubblicò un libro scritto da Reimarus (1694-1768), nel quale lo storico metteva in opera una critica storica radicale a proposito della persona e della vita di Gesù. La pubblicazione postuma del libro nel 1778 può essere considerato il vero punto di partenza degli studi storici su Gesù per la teologia tedesca e per altre che la seguiranno. È del resto significativo, e non è un caso, che nella sua storia delle vite di Gesù pubblicata nel 1906, Albert Schweitzer cominci con Reimarus, infiatti il titolo completo del libro è: “Von Reimarus zu Wrede, Eine Geschichte der Leben Jesu Forschung” (Da Reimarus a Wrede. Storia delle ricerche sulla vita di Gesù)

Certo, Schweitzer ha constatato lo scacco e l’impossibilità di raggiungere il Gesù della storia, data la natura dei documenti esistenti, ma è stato soprattutto molto critico verso i suoi precursori, rimproverandoli di non avere fatto altro che cercare, più o meno ingegnosamente, di far entrare Gesù nelle categorie della loro epoca. Ai nostri giorni diremmo di aver dato di Gesù un’immagine spiritualmente corretta. Tuttavia questo grande movimento della ricerca storica, fondato dalla teologia liberale, ha aperto la strada ad altri lavori di estrema importanza come la Formgeschichte [Storia delle forme n.d.t.], che studia l’influenza della fede della comunità sulla formazione della tradizione evangelica e la Redaktionsgeschichte [Storia della redazione n.d.t.], che cerca di dimostrare l’influenza del metodo letterario e del pensiero teologico particolare di ciascun evangelista sulla sua maniera di raccontare la vita di Gesù. Gesù sfuggiva alla storia, ma il testo ritrovava uno spessore, al tempo stesso storico e letterario, fino ad allora insospettato. Non si aveva ancora finito con la critica storica, ma gli Illuministi tedeschi attaccarono un altro punto debole dell’ortodossia, la famosa teologia naturale. Quest’ultima era considerata il piano inferiore dell’edificio. Alla sommità troneggiava la teologia rivelata, inattingibile dalla ragione; anche se il suo discorso si era evoluto nel corso dei secoli, aveva uno statuto di intoccabilità. Tuttavia non era sempre facile classificare i diversi elementi nell’una o nell’altra delle categorie. Non solo questa difficoltà riguardava il lato artificiale e fragile di questa divisione, ma soprattutto la Ragione si trovava relegata ad un ruolo inaccettabile.

Come giustificare il fatto che certe verità non erano conosciute che attraverso la Rivelazione e che altre, le verità naturali, erano conosciute dalla Ragione, ma non senza la Rivelazione? In questa distribuzione di ruoli la Ragione non era che una sorta di stampella che poteva giusto venire in aiuto a chi cammina su un sentiero delimitato dalla Rivelazione. Tale concezione era agli antipodi del pensiero degli Illuministi, il cui credo consisteva nel credere che la verità potesse e dovesse essere detta. Si trattava meno della Verità con la maiuscola che di tutte le verità, come illustrerà l’avventura dell’Enciclopedia. I filosofi di quest’epoca condividevano la convinzione che, per la prima volta nella storia, fossero in possesso di una pedagogia infallibile e universale, dato che la Ragione sfuggiva, secondo loro, a tutte le istituzioni, poiché essa illumina naturalmente l’aristocratico come l’uomo del popolo, il credente come il non credente.

In un primo tempo l’attacco sarà diretto contro la teologia naturale, poi per contaminazione si estenderà all’insieme dell’edificio, in nome di una Ragione autonoma e trionfante che niente poteva ormai ostacolare. Per la sua ampiezza, questo fenomeno è specifico dell’Aufklärung (gli Illuministi tedeschi), ed è senza equivalenti negli altri Paesi in cui il processo di razionalizzazione della teologia non è stato così rapido. Le conseguenze saranno immense per il pensiero tedesco che, spesso per reazione, elaborerà le grandi sintesi che realizzeranno e sorpasseranno l’Illuminismo. Così Kant (1724-1804), Hegel (1770-1831), Schleiermacher (1768-1834), e in altra maniera Marx (1818-1883) conosceranno la loro ora di gloria. Come ha rilevato Bernard Cottret nella biografia consacrata a Karl Marx: “L’Università tedesca era stata uno dei principali focolai della filosofia dei Lumi. Contrariamente alla Francia, in cui né Voltaire, né Diderot, né Montesquieu, né Rousseau erano stati degli universitari, oltre il Reno l’Aufklärung aveva trovato nell’Università e nella Chiesa i suoi punti d’appoggio.” (Karl Marx. Une vie entre romantisme et révolution, Perrin, Paris, 2010 [Karl Marx. Una vita tra romanticismo e rivoluzione, inedito in Italia n.d.t.]).
Rousseau, il completamento e il superamento dell’IlluminismoIn Francia bisognava abbattere l’”Infame”, ma Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) ciò nonostante non perdeva la testa. Alla cattiva fede e alla superficialità di Voltaire (1694-1778) egli oppone una autentica decostruzione. I suoi attacchi, anche quando sono diretti al cattolicesimo, stigmatizzano le debolezze del protestantesimo.

Ancora una volta il Sola Scriptura non viene risparmiato, la Scrittura si è presto ridotta al solo paolinismo. A Paolo il dottrinario, Jean-Jacques preferisce Giacomo, il fratello del Signore. Ci sarebbe molto da dire sull’intuizione teologica di Rousseau riguardo questo personaggio enigmatico, trascurato dalla Tradizione, ma il cui ruolo all’interno del cristianesimo nascente è stato probabilmente importante quanto quello di Pietro. Nella stessa linea, alla sottile elaborazione della salvezza per sola grazia mediante la fede, Rousseau preferisce una pratica evangelica sinonimo di religione naturale.

Se Rousseau ha un posto privilegiato nel Pantheon della Filosofia, ne merita uno anche nella Gerusalemme celeste dei teologi, anche se alla fine è piuttosto vicino a John Locke nella sua comprensione della funzione sociale della Chiesa. Rousseau avrebbe superato gli Illuministi non condividendo il loro ottimismo e la loro fede nel progresso. Ricordiamoci che rispose “No” alla domanda “Le scienze e le arti hanno contribuito a elevare la moralità della società?” Si trattava di un “No” rivoluzionario che sarebbe stato seguito da una critica feroce della società. Il progresso non ha fatto che accrescere il godimento di un piccolo gruppo, a detrimento della massa. Se Rousseau ha sognato una società primitiva egualitaria, la sua analisi non si è trasformata nella nostalgia del paradiso perduto, si tratta di una descrizione e di una condanna senza attenuanti della situazione politica ed economica del suo tempo. Gli accenti profetici dei suoi scritti ne fanno incontestabilmente uno dei Padri della Rivoluzione francese, di cui una delle innumerevoli conseguenze sarà di dare alla reazione romantica una natura diversa da quella che si produrrà in Inghilterra e Germania. L’anticlericalismo, portato al parossismo nel 1789, perverrà poco a poco ad emarginare le Chiese e la fede cristiana e contribuirà alla lenta elaborazione del concetto di laicità che si imporrà con la legge di separazione tra le Chiese e lo Stato nel 1905. Tra i protestanti, molti ne saranno soddisfatti e celebreranno questa tardiva vittoria degli Illuministi, senza avere sempre coscienza che la laicità avrà anche grande parte nell’isolamento e infine nel poco spazio della teologia nella cultura francese.
EreditàIn Inghilterra come in Germania, il diciottesimo secolo sarà la culla della teologia liberale. Nel libro al quale abbiamo già fatto riferimento, “Il Cristo degli Illuministi”, Bernard Cottret ne indica sistematicamente le impasse e talvolta gli eccessi, ma ne rileva anche gli aspetti positivi, tra i quali la caccia all’oscurantismo, la relativizzazione di dottrine che si credevano eterne e che tuttavia non erano cadute dal cielo, così come la liberazione di un immaginario che attendeva solo il soffio romantico per infiammarsi.

Per parte mia, anche se le si rimprovererà sovente di essersi assunta il rischio di diluire il cristianesimo nella saggezza comune delle nazioni, penso che, senza il coraggio critico della teologia liberale nel secolo dei Lumi, il cristianesimo sarebbe rimasto ai margini della rivoluzione culturale che stava avanzando. Sarebbe stato irrimediabilmente relegato al rango di sopravvivenza del passato, paragonabile al posto dell’Antichità nella nostra cultura, o a quello del celtismo nel nostro folklore. Certo, la teologia liberale pone spesso buone domande senza avere sempre i mezzi per dare buone risposte, ma bisogna riconoscere che le sue ricerche sono la centro dell’intelligenza della fede cristiana e che non hanno nulla di periferico. Ai nostri giorni mi sembra bene armata per raccogliere le sfide del fondamentalismo. La sua capacità di dialogo infatti è uno strumento prezioso nelle relazioni interreligiose. Riflettendo sulla postmodernità quale la viviamo al giorno d’oggi, la teologia liberale non è fatta apposta per riprendere daccapo quelle questioni fondamentali per la società che sono i simboli, i riti e i sentimenti religiosi?

Bernard Cottret dice di questo periodo dell’Illuminismo che è stato una crisi dell’incarnazione; possiamo aggiungere che è stato solo il preludio a un’altra crisi: quella della resurrezione.

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