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Quelle parole che non sono amate : « Intercessione »

La parola “intercessione” non è molto gradevole: porta con sé i miasmi di una teologia arcaica che presenta Dio come un tiranno presso il quale bisogna intercedere perché la sua collera non si riversi su qualche innocente, e, infine, perché mostri un po’ di bontà e di compassione.

Si parte dall’idea di aprirsi al mondo per ricordarci che non siamo soli, che attorno a noi ci sono altri fratelli umani, e che li affidiamo a Dio. Possiamo in questo modo condividere assieme a Dio la preoccupazione nei loro confronti, perché egli accompagni ciascuno di noi e ci aiuti ad agire per loro.

Ma non si tratta di “intercedere” presso Dio per attirare la sua attenzione su coloro che sarebbero l’oggetto della sua indifferenza, né, ancora meno, di tentare di placare la collera che egli riserverebbe ad alcune persone colpite da disgrazie. Dio, naturalmente, si preoccupa già di tutti gli infelici.

L’espressione “preghiera universale” è molto più bella. È un peccato che si trasformi, la maggior parte delle volte, in una lista di lagnanze rivolte a Dio, che tirano in ballo tutti i problemi del mondo, come se Dio dovesse preoccuparsene perché glielo chiediamo noi.

Questa preghiera per gli altri è fatta per condividere insieme, e con Dio, nella fede, la nostra preoccupazione per loro; non perché Dio agisca al nostro posto, ma perché santifichi, trasformi, orienti la nostra preoccupazione, per renderci in grado di agire nella maniera migliore, e perché nella preghiera, il nostro pensiero, e tutta la forza del nostro amore, attraverso Dio, possa raggiungere il nostro prossimo.

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