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Dio ama la sofferenza?

 Senza capire da dove venisse, l’uomo ha sempre cercato di combatterla. Presso gli Aztechi si trovano tracce di bagni di vapore destinati al trattamento dei dolori reumatici; si sa che gli Incas utilizzavano la cocaina e i funghi allucinogeni per gli interventi chirurgici; dei derivati del papavero erano utilizzati nell’antico Egitto fin dal XV secolo a.C.. In Grecia, nel IV secolo a.C., Ippocrate combatte il dolore e rifiuta le credenze che attribuiscono la causa delle malattie a forze soprannaturali o divine.

Poiché l’uomo si è anche rassegnato, attribuendo il dolore alla collera degli dèi. Perché, in Occidente, nel Medioevo, in un arco di quasi dieci secoli, la sofferenza è stata valorizzata e i progressi nel trattamento del dolore sono stati bloccati? Bisogna certo riconoscere la responsabilità della Chiesa, che ha sviluppato l’interpretazione sacrificale della morte di Gesù. Dio avrebbe avuto bisogno delle sofferenze e della morte di Gesù per perdonare gli uomini, per “riscattare” la loro colpa originaria; come parlare allora del Dio d’amore? La valorizzazione della sofferenza è legata alla comprensione “redentrice” della sofferenza di Gesù, sviluppata da Anselmo d’Aosta nell’XI secolo, il cui pensiero è divenuto normativo per le differenti confessioni cristiane. Prima di lui, bisogna evidentemente citare la lettera ai Colossesi (1,24): “Ora sono lieto di soffrire per voi; e quel che manca alle afflizioni di Cristo lo compio nella mia carne a favore del suo corpo che è la chiesa”, frase ripresa da Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica Salvifici doloris (1984), aggiungendo “Ogni uomo può, nella sua sofferenza, partecipare alla sofferenza redentrice di Cristo”.

Queste nozioni, di morte sacrificale e di sofferenza “benefica”, sono oggi scandalose. Gesù era dalla parte del paralitico, dell’escluso, dell’emarginato; alleviava le sofferenze e guariva.

Raphaël Picon scriveva sul numero 183 di Évangile et Liberté (novembre 2004): “Morte sacrificale? Eccola qui, la pia impostura, a cui piacerebbe farci credere che il male è talvolta necessario per far trionfare il bene! Ed ecco qui anche il vero ateismo: credere che Dio abbia bisogno di consolazione e di riparazione. Ateismo, sì, perché questa convinzione nega il semplice fatto che Dio è grazia, che è, in sé, parola e gesto di liberazione che non ricompensa e non sanziona nulla”.

Oggi, fortunatamente, si sta sviluppando una nuova medicina del trattamento del dolore; Jean-Pierre Peter, Direttore degli Studi alla Scuola di Studi Superiori di Scienze Sociali, ci fa percorrere il cammino che ha permesso di arrivarci.

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