Il vocabolo carità le pareva probabilmente troppo abusato per essere utilizzato. Fare la carità è diventato: donare in una maniera paternalista e quindi in atteggiamento e spirito di condiscendenza. È compiere un dovere, delle “buone opere”, come testimoniano quelle dame di carità, tutte votate al bene dei poveri, ma che sanno appartenere a tutt’altra classe sociale !
Ora, la parola “amore” è, anch’essa, e forse anche di più, ambigua. L’amore può essere possessivo, egoista, dominatore, machista, cieco e anche omicida.
La carità ha il vantaggio di avere un immediato orientamento altruista; essa implica una generosità centrata sull’altro. Forse possiede, anche troppo, penserà qualcuno, un marchio religioso e cristiano. Tuttavia, è davvero impossibile riabilitare questa parola, ritrovandone il sapore un po’ desueto, ma nel quale non trionfano né il dovere, né il merito, né la costrizione, né la passione, né una superiorità altezzosa, ma una generosità imparziale, senza esclusioni e disinteressata? Questo amore “sublime”, ci dice André Comte-Sponville, “merita almeno un nome”: in italiano, quello di carità, precisa lui ( Piccolo trattato delle grandi virtù [ Petit traité des grandes vertus ] ).
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