Accueil / Traductions / Italiano / La gola: un peccato?

La gola: un peccato?

Ci si domanda spesso perché la gola figuri tra i peccati capitali. A tal proposito si può fare qualche osservazione. La lista dei peccati capitali è stata progressivamente stilata prima di tutto nei conventi e nei monasteri. Tale lista riguardava le tentazioni alle quali erano particolarmente esposti i monaci e le monache. Sembrerebbe che fossero particolarmente inclini alla gola, nel senso dell’intemperanza e forse anche nel senso di amare la buona tavola. Poiché facevano voto di castità, di povertà e obbedienza, in generale rinunciavano alle delizie della sessualità, della ricchezza e del potere e “compensavano” soccombendo ai piaceri della cucina e della buona cucina. Di fatto, nella vita monastica dei primi secoli, la gola aveva molta importanza, forse anche più della lussuria. Era più insidiosa e difficile da vincere, dato che, a differenza della lussuria, è legata alla soddisfazione di un bisogno naturale, il bisogno di nutrirsi, più inevitabile ancora del bisogno sessuale. La gola faceva fantasticare gli anacoreti e i monaci dei primi secoli dell’era cristiana più ancora della sessualità.

Fin dalle sue origini il Cristianesimo ha esaltato le virtù del digiuno. Questo esisteva già nel Giudaismo e in altre religioni, ma ha occupato un posto molto importante per l’insieme dei fedeli del Cristianesimo, e anche naturalmente nei monasteri. L’appello a rinunciare alla gola può così essere considerato come il corollario di questa insistenza sulle virtù del digiuno.

Quando si parla di peccati capitali, l’aggettivo “capitale” non significa “primo per importanza” ma “a capo”, vale a dire che genera altri peccati. Infatti la gola è considerata come un peccato “capitale” perché comporta altri peccati come la cupidigia, l’egoismo, l’invidia etc. Gide scrive nel suo Diario, in data 25 gennaio 1929: “È nella gola che l’egoismo si manifesta più vergognosamente.”

Infine, se oggigiorno la gola è considerata un peccato “grazioso”, il fatto di mangiare grasso, di fumare, talvolta di bere, è divenuto moralmente riprovevole, come se su queste cose si fosse spostata la nozione di peccato che riguarda il cibo.
La gola, il primo dei peccati? La Bibbia non minimizza certo l’importanza della gola. Di fatto essa è presentata come la prima delle tentazioni alle quali sono stati esposti non solo Adamo ed Eva ma anche Gesù Cristo.

Si può leggere in molti modi il racconto della disobbedienza di Adamo ed Eva. Ad un primo livello di lettura, si può considerare, come motivazione di questa disobbedienza, proprio la gola. In effetti viene detto (Genesi 3,6) che il frutto che suscita la concupiscenza di Adamo ed Eva appariva “buono da mangiare e gradevole alla vista”. In questo modo la gola può essere considerata come la prima delle tentazioni. Secondo Giovanni Crisostomo “È l’incontinenza del ventre che espulse Adamo dal paradiso.”

Allo stesso modo, la prima tentazione proposta a Gesù da Satana nel deserto (Matteo 4,1-11) non è stata quella del potere, della potestà (questa è solo la terza), né quella della vanità (che è la seconda) ma quella di trasformare le pietre in pani perché Gesù possa nutrirsene e mettere fine al digiuno di quaranta giorni che si era imposto.

Altri passi biblici permettono di capire perché la gola è stata condannata. È per gola che Noè (Genesi 9,20-27) sperimentò per la prima volta gli effetti inebrianti del vino, e per questo svelò la sua nudità ai figli. Ancora, è a causa della sua golosità che Lot (Genesi 19,31), in preda all’ebbrezza, si lasciò andare a dei rapporti incestuosi con le sue figlie e che Esaù (Genesi 25,34), amando come sembra le lenticchie sopra ogni cosa, rinunciò ai privilegi che gli conferiva il suo diritto alla primogenitura. È sempre per gola che il popolo ebreo, in cammino verso la Terra Promessa, desiderava mangiare (Numeri 14,2) altro che la manna inviata da Dio e rimpiangeva i cibi più gustosi dell’Egitto in cui era schiavo. È ancora per gola che il ricco “Epulone” (nome che non compare nel testo biblico ma è stato dato a questa figura negativa dalla tradizione), il cui comportamento è descritto da Gesù in una delle sue parabole (Luca 16,19-31), si abbuffava lasciando il povero Lazzaro morire di fame alla sua porta.

Vediamo dunque che nella Bibbia, ciò che provoca la caduta e il destino dell’umanità, che produce la trasgressione dei tabù più sacri, e in più porta la storia a un bivio, non è tanto il denaro o il sesso quanto la gola.
Mangiare, tra piacere e disgustoMa veniamo al fondo del problema: perché la gola viene considerata come un peccato? La gola (nel suo senso originario di voracità, m anche nel senso attuale di amante della buona cucina) mette in luce delle questioni fondamentali: che relazione ha l’uomo con il nutrimento che ingerisce e digerisce nel suo corpo? In che modo accetta il fatto di dovere, per nutrirsi, attentare alla natura e uccidere animali? Come mai nella maggior parte delle religioni ci sono dei tabù alimentari? Come va compreso il carattere quasi universale dei rituali di digiuno? Qual è il significato dei fenomeni della bulimia e dell’anoressia?

Una prima osservazione si impone. Il diritto e forse anche il dovere di mangiare sono indicati fin dai primi capitoli della Bibbia: “Mangerete dei frutti di tutti gli alberi del giardino”. La primissima immagine che viene data di Dio non è quella di un Dio che proibisce ma piuttosto quella di un Padre che incoraggia l’uomo a nutrirsi e gli dà la vocazione di coltivare la terra e di dominare le specie animali per potersi assicurare il nutrimento. Noè viene autorizzato a mangiare carne animale (Genesi 9,2-3).

Ma il problema è che magiare procura un certo piacere! La gola comincia quando il piacere di mangiare supera il bisogno naturale di mangiare per ristorare le forze e soddisfare la fame. In questo modo è il fatto che mangiare procura piacere che suscita la gola e ci induce in peccato.

Ci si può dunque domandare: perché diavolo esiste questo piacere di mangiare? Perché Dio, o la Natura, ci hanno dato questo “premio” del piacere? Il Dizionario di Teologia Cattolica (redatto all’inizio del XX secolo) risponde: “Il piacere naturale che accompagna l’azione di mangiare e di bere è destinato a farci amare e desiderare queste attività legittime e a farci amare una operazione (quella di mangiare) che senza di esso ci ripugnerebbe.” Noterete questo termine “ripugnare” che introduce la nozione di disgusto. Secondo il Dizionario, che ha senza dubbio ragione, il fatto di dover ingurgitare del cibo e il cibo stesso possono essere visti come “ripugnanti”. Per convincersene basta del resto ricordarsi gli sforzi dei cuochi e dei pubblicitari incaricati del marketing dei prodotti alimentari per decorare, accomodare e presentare il cibo in modo tale che non sia più ripugnante.

Il Dizionario aggiunge: “Gioire di un certo piacere quando si mangia per fame e si beve per sete non è proibito, ma la ricerca del piacere per se stesso, questo è considerata una colpa.” La teologia scolastica fa la stessa analisi per quanto riguarda la sessualità. La vita sessuale è considerata come normale e legittima, non fosse che per permettere la generazione e la conservazione della specie. Nondimeno anche la sessualità in se stessa, alla stregua dell’attività alimentare, può essere considerata come ripugnante. E il piacere che accompagna l’attività sessuale ha per scopo “farci amare e desiderare una operazione che senza di esso ci ripugnerebbe.”

Di fatto, mangiare può suscitare una forma di ripugnanza. L’anoressia e il rifiuto della carne, in particolare della carne rossa, lo mostrano bene. Si può pensare a quella scena di un film di Bunuel (Il fascino discreto della borghesia) in cui delle particolari cabine permettono di isolarsi, non per i bisogni naturali o per la sessualità, ma per “l’attività alimentare”. Mangiare è considerato impudico e quasi osceno. Di fatto il cibo può perfino essere percepito come una forma di contaminazione, ancorché necessaria.

Per alcuni, e in particolare per gli asceti e i mistici, mangiare, anche lo stretto necessario, è una cosa che non si fa senza una qualche stretta al cuore. Ecco perché, proprio come san Paolo (1 Corinzi 15,50) e san Tommaso d’Aquino (Summa Theologica) essi vedono il Regno che è loro promesso come un mondo in cui non sarà più necessario mangiare nemmeno il frutto dell’Albero della vita di cui Adamo ed Eva si nutrivano nel paradiso terrestre.

Tutto questo mostra che la condanna della gola, nel senso originario di questa parola, sottende una forma di reticenza di fronte al nutrirsi in quanto tale. E questa reticenza è senza dubbio presente nelle zone più profonde dell’inconscio dell’uomo.
Cibo, contaminazione, tabùCi si può interrogare sulle cause di questa associazione tra gli alimenti e l’idea di contaminazione. Ci sono certamente numerosi fattori: la ripugnanza di fronte all’abbattimento degli animali; il legame tra il cibo e il sangue, simbolo al tempo stesso di vita e di impurità; il fatto che l’assorbimento del cibo avvenga attraverso un orifizio che comunica con l’interno del corpo e le sue viscere; il fatto che la digestione sia una forma di mescolanza e impastatura; il fatto che l’assorbimento del cibo sia seguito dalla defecazione.

Ci si può stupire che tre dei peccati capitali, la gola, la lussuria e l’accidia costituiscano degli interdetti che poggiano su attività che sono tuttavia naturali e indispensabili alla vita: mangiare, generare e riposarsi. Si capirebbe di più se i peccati capitali poggiassero su degli atteggiamenti nocivi. Ma bisogna osservare che queste tre attività naturali riguardano non solamente il campo della vita biologica, ma anche quello del sacro, e quindi del tabù e del peccato (poiché il peccato è la trasgressione dei tabù e la profanazione del sacro). Ciò che ha un legame con il sacro è ipso facto oggetto di interdetti.

Se la nutrizione, la sessualità e il riposo costituiscono l’oggetto di prescrizioni, di regole e di rituali, è perché hanno a che fare al tempo stesso con il sacro e la contaminazione. Il cibo è sacro perché contiene un mana (potenza misteriosa e soprannaturale interna a un essere vivente – pianta, animale, uomo – e che gli fornisce un irradiamento e un’influenza benefica o malefica) che ristora e si trasforma in forza fisica e psichica. Anche l’atto sessuale lo è, perché ha il potere e il mana di generare una progenie. Il riposo è ugualmente sacro perché il suo mana ridona energia e vita. Anche per noi questi tre processi rimangono misteriosi. Ancora oggi il nutrirsi, la sessualità e il riposo hanno qualcosa di sacro ed è per questo che sono circondati da tabù e rituali religiosi o criptoreligiosi.

Infatti, nel Giudaismo, le regole dell’alimentazione kosher legiferano sugli alimenti che possono essere consumati; la circoncisione e altre regole di purità regolamentano la vita sessuale; e le prescrizioni relative allo shabbat fanno del riposo una forma di rituale sacro.

Oggi come ieri il cibo è sentito parte del sacro, del tabù, ma anche come contaminazione, sporcizia. Del sacro, perché è considerato il primo dei doni degli dèi, della Provvidenza e della natura; del tabù, perché l’alimentazione, dopo essere stata regolamentata dalla religione, ora lo è dalla dietetica ecologica (che del resto ha molti tratti religiosi); e come sporcizia perché fa ingrassare, fa ammalare e provoca il vizio della gola. Al giorno d’oggi, le innumerevoli prescrizioni della dietetica, dell’ecologia, delle etichette “bio”, dei regimi vegetariani, della macrobiotica (dottrina dietetica vegana che promuove l’equilibrio tra lo Yin e lo Yang) sostituiscono convenientemente le regole e i tabù delle religioni ancestrali sugli alimenti puri e impuri.
Le prescrizioni alimentari del GiudaismoCosì, il fatto di mangiare può avere a che fare con il peccato. Alla condanna della gola è forse sottesa una forma di tabù e di reticenza profonda in rapporto al fatto stesso di mangiare in quanto poco pulito. Le prescrizioni religiose e culturali che governano, codificano e restringono il campo dell’alimentazione lo mostrano bene. Così, mangiare un animale proibito, il maiale ad esempio, rientra proprio nell’ordine della contaminazione e può comportare problemi psicosomatici importanti e talora addirittura la morte.

Mangiare, ovvero ingurgitare dentro di sé animali e vegetali, non è assolutamente anodino e può essere considerato una cosa contaminante, come mostrano i tre seguenti punti del pensiero e della pratica del Giudaismo.

Per il Giudaismo, mangiare è forse già percepito come qualcosa di impuro, perché consiste nell’assimilare un nutrimento non umano per trasformarlo in materia umana. In ebraico mangiare si dice a’hol, traducibile con “assimilare”, etimologicamente “rendere simile a sé”. Mangiare consiste nel rendere il vegetale o l’animale simile all’umano, ed ecco il motivo per cui, nel Giudaismo, “ciò che entra dalla bocca contamina l’uomo” (Matteo 15,11). Mangiare significa mettere qualcosa di non umano nell’umano, dunque una contaminazione dell’umano. Così, da una parte il cannibalismo è considerato un tabù e un peccato, ma dall’altra parte anche l’alimentazione non antropofaga è considerata una contaminazione.

Nel Giudaismo, la contaminazione del mangiare è accentuata dal fatto che l’uomo è onnivoro. Mangiare vuol dire ingurgitare una mistura di alimenti differenti, mettere tohu-bohu dentro di sé, mischiare creature (animali o vegetali) appartenenti a specie diverse, tanti elementi sentiti come una forma di profanazione del disegno di Dio. Questi disegno infatti consiste nello strappare un mondo ordinato e differenziato fuori dal “tohu-bohu” primordiale e opporsi alle possibile riemergenze di questo tohu-bohu nel mondo.

Infine, la carne che si mangia è stata quella di un animale vivente che è stato ucciso. Cosa che spinge certi vegetariani a rifiutare la carne animale. Questa reticenza è molto antica. Così nel Talmud (Trattato Sanhedrin, 56a), tra le sette leggi che Dio ha prescritto all’insieme dei discendenti di Noè, ovvero l’umanità tutta intera, una precisa: “Mangiare, tu mangerai, ma non di un membro strappato ad un animale vivente”. Si può certo mangiare, ma senza torturare né mutilare l’animale. Questo spiega perché le regole di abbattimento dell’animale del Giudaismo e dell’Islam precisino che è vietato consumare il sangue di un animale abbattuto; il sangue è stato sede della vita. Il sangue è sacro e dunque tabù (Genesi 9,5; Levitico 9,16; Deuteronomio 12,23; etc.). Bisogna dunque spremerlo e toglierlo dalla carne, lavandola per non mangiare la vita dell’animale.

Certo, il Cristianesimo non ha ripreso le prescrizioni rituali del Giudaismo in materia di alimentazione. Gesù ha anche detto chiaramente, con grande scandalo dei farisei ai quali si rivolgeva: “Ascoltate e intendete: non quello che entra nella bocca contamina l’uomo; ma è quello che esce dalla bocca, che contamina l’uomo!” (Matteo 15,11). Ma questa riabilitazione dell’attività alimentare in quanto tale non è andata molto lontano. Molto presto il Cristianesimo ha rimpiazzato le prescrizioni alimentari del Giudaismo con la regola del digiuno, ovvero l’astinenza da ogni cibo, e in particolare dalla carne (considerata la più ricca e anche la più sanguinaria). C’è un orrore della carne come cibo come c’è un orrore della carne come sessualità, e le due cose vanno spesso di pari passo, più frequentemente di quanto non si creda. L’anoressia è forse una forma di digiuno involontario e staccato dalle sue motivazioni religiose. E di fatto c’è senza dubbio qualcosa in comune tra il rifiuto di alimentarsi dei mistici, dei monaci e dei religiosi in generale, e l’impossibilità ad alimentarsi dell’anoressica. Il limite tra anoressia e digiuno volontario è talvolta difficile da stabilire. Molte mistiche che praticavano l’astinenza, nel Medioevo (Caterina da Siena, morta nel 1380 o Caterina da Genova, morta nel 1510) o al giorno d’oggi (Simone Weil, Marthe Robin) furono forse anche delle anoressiche.
La gola, perché?Tuttavia, nella maggior parte delle culture e delle religioni primitive, c’erano anche delle orgie di natura religiosa nel corso delle quali i tabù e i divieti potevano essere trasgrediti. La gola, nel senso della ghiottoneria e dell’ubriachezza, diveniva allora la regola. Sembra d’altra parte che queste stravaganze alimentari continuavano a esistere all’epoca di san Paolo, in particolare nelle comunità cristiane di origine pagana che aveva fondato (1 Corinzi 11,17-22; Giuda 12; 2 Pietro 2,13).

Proprio come le orgie di quell’epoca, i pasti della festa sono spesso, ancora al giorno d’oggi, una rivincita gioiosa, insolente e disinvolta sulla morale, la pressione delle tradizioni, l’immagine ossessiva della morte, degli avi e dei genitori.

Il piacere e il bisogno di trangugiare cibo in maniera eccessiva hanno a che vedere con le paure più profonde dell’uomo: quella di perdere la vita, di perdere gli dèi e di perdere il godimento della vita. Proprio come il poppante inghiotte avidamente il latte del seno di sua madre per paura di perderla, noi ci ingozziamo di cibo per paura di mancare. La gola, come l’avarizia, ha a che fare con la paura della morte.

La gola è una trasgressione di tabù incisi in noi dalla nostra prima infanzia, quando ci dicevano: non mangiare troppo, non mangiare troppo veloce, non mangiare questo o quello. È una forma di omicidio gioioso e festivo del padre e della madre. La gola è vissuta come una rivincita nei loro confronti per le frustrazioni che ci hanno instillato.

Più in generale la gola rimane sempre una maniera di fare “lo sberleffo”, un marameo festivo e gioioso. Mia nonna, nata nel 1890, diceva mangiando un pollo: I Prussiani questo non l’avranno! Oggi, mangiando dei sottaceti, mia figlia direbbe: Tanto peggio per mio marito che mi trova troppo grossa!

Proprio come le orgie, che erano al tempo stesso un disordine e un modo di purgarsi dal male, dalla sporcizia e dal caos, la gola è contemporaneamente un peccato e un rimedio. Viene sentita come una debolezza e una tentazione ossessiva ma, paradossalmente, il passaggio all’atto diventa un rimedio e una liberazione. Di fatto, la gola permette di purgarsi dalla tentazione della gola! Come diceva Oscar Wilde: “La maniera migliore di sbarazzarsi di una tentazione, è cedervi.” Proprio come le orgie di un tempo, la gola è una strategia paradossale per purgarsi dal male, dalle ossessioni morbose e dai tabù alienanti. Più in generale, è una forma di rimedio, o per lo meno di compensazione, per molti mali e frustrazioni. Ha il valore di un vaccino: una piccola contaminazione che vi protegge da molti peccati più gravi e più nocivi. Quando si ha qualcosa di indefinito nell’anima, meglio offrirsi una pasta al cioccolato che avere voglia di fare del male alle persone care!

Infine, la gola ha senza dubbio a che vedere con il desiderio di conoscere uno stato in cui saremo saziati per sempre, come la vita intrauterina dove, nutriti dal cordone ombelicale, non avevamo mai fame, o quello della vita eterna dove, a Dio piacendo, ignoreremo la fame…e la gola.
Meno male che è un peccato!La gola, secondo il Dizionario di Teologia Cattolica, è la voluttà e il piacere di mangiare senza avere bisogno di mangiare. Ed è in questo che si distingue chiaramente dalla fame. San Tommaso d’Aquino scrive: “Ci sono due specie di appetito: uno è l’appetito naturale…in cui non c’è né virtù né vizio; ma c’è un altro appetito, l’appetito sensibile, ed è nella bramosia di questo appetito che consiste il vizio della gola.” In questo modo la gola (come d’altronde la lussuria e l’accidia) è la ricerca di un piacere e di una voluttà fisica senza essere spinti da un bisogno fisiologico e naturale. Ecco la ragione esatta per la quale ha ricevuto la riprovazione dei moralisti e dei teologi.

Ma rassicuratevi! Il fatto che sia “vietato” non rovina per nulla il piacere! Anzi, al contrario! Infatti è costitutivo della gola essere il desiderio di un piacere sentito come proibito. Da dove viene questa sensazione? Forse è radicata nella primissima infanzia. Per il piccolo, la madre è colei che dà da mangiare (in italiano “gnam gnam” ha una assonanza con “mamma”) ma anche colei che impedisce di mangiare quello di cui si avrebbe voglia e che potrebbe produrre piacere. In questo modo il bambino, dalla più tenera età, introietta la gola come un piacere proibito.

Infatti c’è un nettissimo parallelo tra il ruolo della madre (e forse, più tardi, del padre) e quello di Dio Padre per i suoi figli Adamo ed Eva quando erano nel giardino di Eden, in una sorta di infanzia. Dio dice: voi potete, e forse anche dovete mangiare di questo (ovvero i frutti di tutti gli alberi del giardino tranne uno), ma non dovete mangiare di quello (il frutto dell’Albero della conoscenza, gradevole alla vista, che suscita il desiderio), altrimenti morrete. Così, il frutto dell’albero che si ha voglia di mangiare è proprio, guarda caso, quello che è proibito e che si presume faccia male.

Questa sensazione di trasgredire un divieto aumenta il piacere della gola. Il fatto di mangiare del cioccolato quando “non si dovrebbe” aumenta il godimento. Mangiare una pietanza che vi era proibita durante l’infanzia è un godimento in sé. Come si dice “è così buono che è quasi un peccato” si potrebbe dire anche “è perché so che è una trasgressione che diventa così buono.”

La gola fa certamente parte del piacere, ma più ancora del godimento. Jacques Lacan traduce “jouissance” (godimento) con “j’ouïs – sens” (io odo – (il) senso). E infatti il piacere della gola riguarda anche il senso: la gola è vissuta come compensazione (ci si “vizia” per compensare), come regressione (la gola è un piacere infantile e che ricorda l’infanzia) e anche una forma lecita di egoismo.
Lussuria e golaUna piccola battuta per concludere. Bisogna preferire i piaceri della carne nel senso della gola o nel senso della lussuria?

Per Brillat Savarin non c’è storia: i piaceri emanati dai cibi e dalle bevande dilettevoli non possono essere paragonati con quelli che si presume producano “i capricci di una donna, i suoi umori, i suoi bronci e, osiamo toccare l’argomento, i suoi fuggevoli favori.”

Si può peraltro tentare di riconciliare le due cose. Certi piatti deliziosi sono anche dei potenti afrodisiaci. E oggi tutti sanno che una impresa di seduzione comincia con un invito a una buona cena e termina con una proposta a “bere l’ultimo bicchiere a casa.”

Don

Pour faire un don, suivez ce lien

À propos Évangile et liberté

.Evangile-et-liberte@evangile-et-liberte.net'

Laisser un commentaire

Ce site utilise Akismet pour réduire les indésirables. En savoir plus sur comment les données de vos commentaires sont utilisées.

En savoir plus sur Évangile et Liberté

Abonnez-vous pour poursuivre la lecture et avoir accès à l’ensemble des archives.

Continue reading