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Il cristianesimo e la non violenza

Dato che il primo discorso di Gesù, nel vangelo secondo Matteo, è pieno di appelli alla non violenza (le Beatitudini, “Se ti colpiscono sulla guancia destra” etc.), dato che i quattro vangeli riportano unanimemente che Gesù non ha opposto resistenza al suo arresto e all’esecuzione, si potrebbe credere che la non violenza faccia parte del nocciolo duro della fede e della pratica dei cristiani. Di fatto, non appena hanno potuto beneficiare del sostegno del potere politico (Costantino, 272-337), i cristiani non hanno cessato di appoggiare e di reclamare l’uso della violenza contro gli eretici, gli infedeli, i nemici della nazione. Alcune Chiese hanno benedetto i cannoni, approvato la pena di morte, sovente la repressione. È uno dei più grandi paradossi del cristianesimo: anche se ci sono sempre stati dei non violenti nel corso della storia della Chiesa, il tema della non violenza è ritornato in auge solo grazie alla personalità di un hindu (Gandhi) all’inizio del XX secolo, all’epoca in cui lo slogan “Gott mit uns” (Dio con noi) o i suoi equivalenti nelle altre lingue compivano le devastazioni che tutti conoscono nei paesi della cristianità.

Certo, i cristiani reticenti a seguire i precetti della non violenza di Cristo hanno qualche argomento. Nel Sermone della montagna, Gesù si rivolgeva alla cerchia ristretta dei suoi discepoli e si opponeva all’ideologia zelota che predicava la rivoluzione violenta contro il potere romano. Secondo loro, se le massime non violente dovessero applicarsi alla condotta individuale, non sarebbe possibile applicarle quando è in gioco l’ordine pubblico o la sopravvivenza della società.

Ci sono state tuttavia delle persone (tra cui molti non cristiani) che hanno preso sul serio i precetti di non violenza di Cristo, i quali non sono mai accompagnati da restrizioni che precisino in quali circostanze sono applicabili. Qui non si può raccontarne la storia. Diciamo solamente che, molto presto, dei cristiani si sono levati contro il supplizio della crocifissione, poi contro le guerre (la tregua di Dio del Medioevo), poi contro le torture dell’Inquisizione, i massacri dei conquistadores e le guerre coloniali, poi contro la pena di morte. Ma ci volle molto perché alcuni tra loro provassero a riflettere su un’etica fondata sulla non violenza. Alcuni non violenti passati alla storia (i Mennoniti, discepoli di Menno Simons nel XVI secolo, e quelli di George Fox nel XVII, i Quaccheri) sono stati perseguitati tanto dai protestanti che dai cattolici.

I movimenti non violenti si sono sviluppati in Europa a partire dalla prima guerra mondiale. L’IFOR (International Fellowship of Reconciliation) venne creata nel 1921 e il Movimento Internazionale della Riconciliazione nel 1923. Delle personalità fuori dal comune, quali Lanza del Vasto (che fondò la Communauté de l’Arche), Pierre Cérésole et Hélène Monastier in Svizzera, che avevano incontrato il Mahatma Gandhi, tentarono di organizzare gli obiettori di coscienza (pochissimi a quell’epoca, e praticamente tutti spinti da motivazioni religiose). Durante e dopo la seconda guerra mondiale, uomini e donne come André Trocmé, Jean Goss e sua moglie Hildegard salvarono degli Ebrei, poi tentarono di riconciliare i popoli tedesco e francese. Questi movimenti si opposero alla guerra d’Algeria ed ebbero perfino un generale tra i loro aderenti, Jacques de Bollardière. Molti obiettori di coscienza dell’epoca misero avanti delle ragioni politiche. I protestanti liberali Albert Schweitzer e Théodore Monod sono stati adepti della non violenza. Il filosofo francese Jean-Marie Müller ha scritto molto sulla non violenza. Cristiano senza dubbio (come testimonia il suo ammirevole scritto sui monaci del monastero di Tibhirine in Algeria), non parte sempre dall’Evangelo, ma si sforza di mostrare che la non violenza è un mezzo efficace di proteggere i deboli e cambiare la società.

Tra gli altri grandi pensatori (e attori) della non violenza, bisogna naturalmente menzionare Martin Luther King, che riuscì a mobilitare i neri americani e a ottenere loro, se non tutti i diritti, almeno il rispetto della nazione americana, il Dalai Lama (Tibet), Aung San Suu Kyi (Birmania) et Nelson Mandela. Quest’ultimo non è sempre stato non violento (durante il processo in cui fu condannato al carcere a vita dichiarò che era pronto a prendere le armi contro il regime dell’apartheid), ma una volta divenuto presidente del Sudafrica ha cercato di mettere in opera la riconciliazione tra nemici secondo i principi non violenti. A fianco di questi nomi celebri (tutti premi Nobel per la pace) bisogna menzionare innumerevoli gruppi di contadini e operai ai quattro angoli del pianeta che si mobilitano secondo i principi di Gandhi e M. L. King.

Naturalmente la non violenza ha avuto molti detrattori. Li si può classificare in due categorie: da una parte i “conservatori”, che rivendicano il diritto alla difesa nazionale e per i quali la giustizia consiste nel punire in modo violento i nemici della società, dall’altra i “rivoluzionari”, che ritengono non si arriverà a nulla con l’azione non violenta (sempre fagocitata dall’establishment), e che la sola risposta alla tirannia o al capitalismo è il rovesciamento violento.

La risposta dei non violenti è che, al contrario, è la violenza ad essere inefficace, perché non fa che perpetuare gli odi e le ingiustizie, e la riconciliazione (anche quando appare impossibile) è il solo mezzo di ristabilire la giustizia.

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