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Le Chiese devono impegnarsi in politica?

In Europa Occidentale, la risposta più frequente è “no”.

Perché la politica non è di loro competenza? Senza dubbio.

Perché non devono legarsi a un regime o a una ideologia? Certamente.

Perché il loro ruolo è di lasciare che ogni individuo decida in coscienza? Anche questo è vero, ma c’è di più: le Chiese devono vietarsi di immischiarsi in politica per evitare di divenire totalitarie. La tentazione, insidiosa, può essere molto forte poiché le Chiese si occupano già di morale e di vita collettiva. Ma se si impegnassero politicamente, pretenderebbero di governare tutto: la coscienza attraverso la fede; i comportamenti attraverso la morale; la vita intellettuale attraverso i dogmi, infine la vita sociale e collettiva attraverso la politica… Tutto. Tentazione molto forte, ma che è il sogno di tutti i totalitarismi, e che sarebbe, se ce ne fossero i mezzi, una sorta di soffocamento totalitario attraverso la religione (totalitario significa che si governa la totalità dell’essere umano e la totalità degli esseri umani).

La storia ne ha fornito sufficienti esempi, dalle crociate all’Inquisizione, dalle guerre di religione agli integralismi attuali, che siano musulmani, ebraici, come in certi ambienti influenti di Israele, o cristiani, come in certe Chiese degli Stati Uniti. La Bibbia, però, racconta la storia della torre di Babele, quella parabola che illustra il dono della diversità e il rifiuto di ogni totalitarismo…

La volontà totalitaria è sempre una negazione di Dio, tutti i totalitarismi lo sanno, sia che combattano, sia che recuperino la religione. Ed è precisamente quel pericolo, il totalitarismo mentale, l’idea che si debba irreggimentare la totalità della vita della gente e della società, che dovrebbe dissuadere tutti i responsabili dall’impegnare la propria Chiesa in politica, quale che possa essere la loro attenzione, la loro passione e la loro preoccupazione per le sorti dell’umanità… Per loro ne va del rispetto per la Creazione, ovvero del rispetto per la libertà e la responsabilità affidate da Dio agli umani.

Al tempo stesso, le Chiese sanno che questo rispetto è possibile solamente in un ambiente che le renda possibili. Esistono delle frontiere alla libertà, perché la libertà e il rispetto restino possibili; esistono delle frontiere che si possono chiamare le frontiere del proibito, rizzate di fronte a tutto ciò che proibisce la libertà: violenza, totalitarismo, razzismo, sessismo, diritti dei gruppi quando vogliono avere la meglio sui diritti delle persone. Tutto ciò che impedisce di essere se stessi, tutto ciò che impedisce la libertà di coscienza, di comportamento e di espressione, libertà alle quali il protestantesimo in particolare, per ragioni storiche, è visceralmente attaccato. Su quelle frontiere, le Chiese, l’Evangelo non hanno il diritto ma il dovere di esprimersi. Come hanno fatto, o avrebbero dovuto fare, di fronte all’apartheid, al massacro degli Indiani, al nazismo, all’antisemitismo, tutti errori che sono stati spesso giustificati con ragionamenti teologici.

Esprimersi, ma mai imporre. Dire, agire forse, agire nell’illegalità talvolta, testimoniare correndo dei rischi (la dichiarazione di Barmen di alcuni cristiani nella Germania nazista, il salvataggio degli Ebrei, la lotta per i diritti civili con Martin Luther King…), difendere, ma non imporre.

Perché Dio non si disinteressa della storia ! Se non impone niente, soprattutto non con la forza, e se i suoi fedeli non hanno nulla da imporre, soprattutto non con la forza, in compenso Egli può invitare senza sosta verso sua utopia, quella della Città di Dio, cioè un orizzonte di fraternità, di giustizia, di rispetto, di equità e di libertà, che Egli invita a vivere e far vivere. Può, in particolare, invitare a incitare altri, con l’esempio e il sostegno, a vivere anch’essi quello che gli Occidentali hanno la fortuna di vivere già: la democrazia, la pace tra paesi vicini, lo Stato di Diritto… Invitare, come Dio; Mai forzare, come Dio.
Jean-Paul MorleyAll’epoca di Gesù sadducei e zeloti hanno come modello la Sovranità mitica di Davide e Salomone, potere religioso e politico. I primi collaborano con i romani, i secondi vogliono rimpiazzarli. Gesù, che non è un messia di potere, opera una rottura. È lì per richiamare e rendere effettiva la grazia di Dio nella vita di ciascuno, abolire i vincoli, desacralizzare le dominazioni: sociali, politiche, economiche. Ribalta i valori, abolisce le identità che danno un ordine alla società. Getta in basso il potere, ma non lo prende, dicendoci che il potere non ha più il potere definitivo sulle nostre vite anche se sembra esercitarlo nella pratica. Non è che una tigre di carta. Così, un “potere cristiano”, un “partito cristiano” come quello di Christine Boutin sono degli ossimori (unione di due termini contraddittori): il potere non si può esercitare nel nome di Cristo. Se né questo impegno, né questa politica sono i doveri della Chiesa, qual’è la politica della Chiesa?

Il filosofo Jacques Rancière oppone due sensi della parola “politica”: la polis/zia e la politica propriamente detta. Il primo è il modo con cui l’oligarchia mantiene ciascuno al suo posto, fa il poliziotto: “Circolate, non c’è niente da vedere”. Il secondo, quando dei gruppi contestano questa “divisione del sensibile” tra “questo è politica / questo non lo è”; “noi siamo i soli legittimi / anche noi lo siamo”; “ciascuno al suo posto / noi rivendichiamo un posto”.

L’occupazione di una fabbrica da parte di operai, di una scuola da parte di genitori, di un museo da parte di immigrati clandestini, le giornate senza auto, le rivolte di giovani in periferia, le interpellanze delle associazioni, ecco in primo luogo la politica: tutto ciò che contesta, nella società, l’ordinamento dei luoghi, dei poteri, delle ricchezze e delle legittimità. In questo la Chiesa – perché porta il messaggio di Cristo, di contestazione di tutti gli ordinamenti – è politica.

Tre tesi illustrano questo.

– La Chiesa, come comunità e comunione, è politica dei modi di vivere. La Chiesa è una comunione nella quale la povertà è una ricchezza, il piccolo è prioritario, le responsabilità sono dei servizi. Questo modo di vivere, se è vissuto come quello di una minoranza attiva, è altamente sovversivo in un mondo in cui la crescita e il denaro sono considerati come le vere ricchezze, dove i piccoli sono schiacciati, le responsabilità sono strumentalizzate per l’onnipotenza di una casta.

– La Chiesa, come predicazione, è politica della proclamazione dell’Evangelo attraverso la parola, i sacramenti e gli atti. La Chiesa marcia al passo della predicazione sovversiva di Gesù. Come Gesù, non lo deve fare solamente nel rifugio della sinagoga ma in pubblico: per strada, nella vita; attraverso la predicazione, la parola pubblica e l’azione concreta: dal soccorso al povero alla disobbedienza civile.

– La Chiesa, come confessione di fede, è politica di resistenza. Quando il potere dice che Hitler è il Führer, la confessione di Barmen dice che il solo capo è Cristo. Quando il potere dice che la Francia è bianca e cristiana, la Chiesa dice che non vi è più giudeo, né greco. In nome della sua fede, la Chiesa entra in opposizione frontale.

La Chiesa non è solamente la Chiesa riformata di Francia o la Chiesa cattolica romana, il Foyer de l’Âme o la Maison Verte (“Il Foyer dell’Anima” e “La Casa Verde”, due parrocchie riformate di Parigi n.d.t.). È ovunque due o tre persone si riuniscono attorno all’Evangelo. Qui, in ragione della composizione della comunità, la radicalità della predicazione pubblica o la resistenza confessionale è difficile, perché metterebbe in pericolo la comunione. Là, l’insistenza sulla predicazione pubblica farà sì che la comunità sia meno numerosa o meno diversificata. Se la Chiesa è cercare di tenere i tre insieme, ogni luogo vivrà la sua tensione in modo diverso. Ne scaturirà una diversità di impegni politici. È l’insieme di queste posizioni diverse a seconda dei luoghi e istituzioni di Chiesa che costituisce l’impegno della Chiesa con la C maiuscola: ciascuno nella sua lingua, compreso il parlare cacofonico, come a Pentecoste.

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