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Quando parlare di islam moderato suscita incomprensione

Di Nicole Roulland-Rupp

 

Traduzione di Giacomo Tessaro

 

Ovviamente esistono musulmani integralisti ed estremisti. Sono molto poco numerosi, soprattutto in Francia, a fianco dell’immensa maggioranza dei musulmani che incrociamo tutti i giorni, anch’essi vittime del radicalismo. Bisogna facilitare l’incontro.

 

Rimango sempre stupita dal modo i cui i miei interlocutori trattano il mio interesse per l’islam. Quando nel 1999 ho lasciato la facoltà di teologia protestante di Parigi per iscrivermi a quella di Strasburgo per poter intraprendere un lavoro di ricerca in islamologia con il professor Stehly, molti hanno sospettato mi volessi convertire, o che volessi tradire. Perché tanti sospetti quando si parla di islam?

 

Sì, ho lavorato sull’islam. Per fare questo ho incontrato dei musulmani, ho scambiato molto con loro, però no, non mi hanno convertita perché non ne avevano alcuna intenzione e perché la mia fede nel Dio di Gesù Cristo è ciò che mi fa vivere. Non ho bisogno di qualcosa di più, di qualcosa d’altro, se non di qualcosa di fondamentale per me: entrare in dialogo, non restarmene nel mio angolino a rimestare le medesime idee e le medesime teorie con persone che troppo mi assomigliano. Al contrario, ho bisogno di confrontarmi con il mondo, con gli altri: con i musulmani, perché no.

 

Durante i miei brevi anni di ministero non ho avuto il tempo di entrare in contatto con le istituzioni musulmane del mio settore: talvolta a causa della barriera della lingua, talvolta perché non c’era nessuna istituzione, molto spesso però perché non mi sono concessa il tempo di andare a incontrare la comunità musulmana più vicina, impegnata com’ero nel ritmo intenso della vita parrocchiale. Ho sempre avuto questo rammarico.

 

Dopo uno stage pastorale in Marocco, tuttavia, il mio interesse si è risvegliato, ma il mio slancio è ben presto caduto al mio ritorno in Francia. Dopo aver beneficiato di questa formazione pastorale, in collegamento oltretutto con degli intellettuali musulmani, ho voluto condividere le mie scoperte e il mio entusiasmo per il dialogo islamo-cristiano. Non pensavo di incontrare un così forte sfasamento con alcuni parrocchiani, che rappresentano una frangia molto virulenta ma che riflette molto bene la concezione che dell’islam hanno molti nostri contemporanei.

 

Parlare di islam moderato e moderno è spesso inaudito per chi conosce l’islam solo attraverso gli attentati dell’undici settembre, le violenze dei salafiti o di Boko Haram e vede tutti i musulmani come terroristi, assassini e folli di Dio. Tanto mi è facile discutere con i musulmani, tanto mi sembra impossibile entrare nel discorso con i difensori di simili idee. Certo, ci sono musulmani estremisti, fondamentalisti, integralisti e tutti gli -isti possibili e immaginabili, che si nascondono dietro una religione per commettere degli atti odiosi; ma ci sono tutti gli altri, quasi sei milioni in Francia, che sono anch’essi vittime di questi folli di Dio, ostracizzati senza una valida ragione, che desiderano vivere il loro islam come noi viviamo il nostro cristianesimo, senza provocazioni e soprattutto nel rispetto delle leggi della Repubblica. È su questo tono che si esprime il Consiglio Francese del Culto Musulmano nella sua Convenzione dei cittadini musulmani di Francia per il vivere comune del giugno 2014: “I musulmani di Francia aspirano solamente a vivere con serenità e tranquillità la loro spiritualità, evitando ogni provocazione e rifiutando ogni stigmatizzazione”.

 

Ma ignorandoli, stigmatizzandoli, sospettando gli intellettuali musulmani, difensori dell’islam moderato, di una strategia volta, per esempio, a un fantomatico ricambio di popolazione, noi cadiamo nell’islamofobia e facciamo il gioco di un comunitarismo perverso etnicizzando una frangia della popolazione.

 

Il miglior modo di far fronte a questo comunitarismo mortale consiste nel creare legami, nel reinventare un vivere comune nel quale si cessi di sfiorarsi per incontrarsi veramente. Effettivamente non è facile fare il primo passo, accusiamo un po’ troppo facilmente l’altro di non averlo fatto, privandoci in definitiva di veri incontri e di scambi sinceri. Però è attraverso il dialogo, secondo me, che si cresce e si costruisce. Ancora una volta, bisogna non avere paura dell’altro.

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À propos Gilles

a été pasteur à Amsterdam et en Région parisienne. Il s’est toujours intéressé à la présence de l’Évangile aux marges de l’Église. Il anime depuis 17 ans le site Internet Protestants dans la ville.

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