Ogni mese ci proponiamo di esaminare una parola che riguarda il cristianesimo, e che può apparire disturbante, dolorosa o complessa. Quello che ci disgusta a volte la dice lunga su ciò che siamo, e su ciò che ci guida nella nostra fede. Dietro alle parole che non ci piacciono troveremo forse un’idea comune, che parla a ciascuno di noi senza che ne siamo coscienti.
Jean-Marie de Bourqueney
pastore della Chiesa Protestante Unita a Parigi-Batignolles. Partecipa alla redazione e alla direzione di Évangile et Liberté. Si interessa soprattutto di dialogo interreligioso e teologia del processo.
Traduzione di Giacomo Tessaro
Il passo biblico è tratto dalla versione Nuova Riveduta.
Quando nel I secolo nacque (progressivamente, all’interno del giudaismo) il cristianesimo, esso acquisì l’abitudine di prendere a prestito le parole del vocabolario politico greco per dare un nome alle sue novità e alle sue aspirazioni. Scelse così il termine “Chiesa” (“ekklesia” in greco”), un termine che indicava la comunità dei cittadini liberi delle città greche, per designare il suo nuovo modo di fare assemblea. Una parola che era tutta un programma!
Il cristianesimo fece poi la stessa cosa per esprimere la sua vocazione universale, vocazione indicata simbolicamente dal finale del vangelo di Matteo: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli” (Matteo 28:19a). Un cristianesimo universale, dunque, ma in che modo? Le discussioni vertono su due parole che possono designare tale vocazione: “katholikos” e “oikoumene”.
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, il primo termine è infinitamente preferibile al secondo; infatti, “oikoumene” significa l’estensione del territorio dell’Impero in una logica di conquista, un’universalità “centrifuga” che conquista terre e anime: in un certo senso, l’antenato del colonialismo.
Al contrario, il termine “katholikos” esprime l’universalità come accoglienza, in cui ogni chiesa locale è parabola dell’universalità e accoglie l’altro nella diversità dei percorsi e delle origini: è un’universalità “centripeta”.
Se guardiamo all’origine delle parole, credo quindi che la Chiesa abbia la vocazione ad essere “cattolica” nel senso dell’accoglienza universale, e che non debba affatto essere “ecumenica”, nel senso della conquista e dell’imposizione arbitraria di una verità la cui essenza consiste proprio nell’essere fallibile e parziale.
Ricordiamo poi ancora che la parola “santa” significa “che appartiene a Dio”, quindi dico volentieri ”credo la santa Chiesa cattolica”. Paradossi verbali!
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