Del rabbino Haim Fabrizio Cipriani*
Traduzione di Giacomo Tessaro
* Haim Fabrizio Cipriani, autore di numerose opere sull’ebraismo, è rabbino della comunità ULIF (Unione Israelita Liberale di Francia) di Marsiglia, della comunità italiana Etz Haim e Visiting Rabbi presso le comunità Kehilat Kedem di Montpellier e AJTM (Alleanza per un Giudaismo Tradizionale e Moderno) di Parigi.
Come tutti sanno, Pesah celebra la liberazione del popolo ebreo dalla schiavitù egiziana e afferma che, oltre al potere di chi detiene il potere di servirsene per schiacciare il prossimo e ridurre la sua libertà e la sua dignità, esistono altre dinamiche, inscritte nel cosmo, le quali affermano la necessità di fermare la tendenza a compiere abusi.
Lo Shabbat celebra, da una parte, la cessazione della creazione divina (Esodo 20:8-10), ma anche l’uscita dall’Egitto (Deuteronomio 5:15), e questo dimostra l’esistenza di un legame profondo tra le due dimensioni. Lo Shabbat costituisce il segno di ciò che il potere è nel profondo: solamente la capacità di limitare il proprio potere e di non imporlo più alla Creazione dimostra l’assoluta padronanza della sua potenza, ed è proprio questo aspetto che molto spesso manca all’essere umano. Lo Shabbat umano celebra dunque la necessità di coltivare e ricostruire questa facoltà, questa dimensione per la quale il resto della Creazione può essere lasciato vivere liberamente, alla stregua del creatore, che a un momento dato ha deciso di lasciare in libertà la Creazione. Di conseguenza non è corretto dire che a Shabbat nulla è stato creato, poiché la Torah dice esplicitamente che la Creazione si svolge in sette fasi, non in sei: “E al settimo giorno Elohim completa l’opera che ha realizzato” (Genesi 2:2). Ciò che è stato creato il settimo giorno è proprio lo Shabbat, letteralmente “cessazione”, vale a dire “abbandono”, attraverso la Trascendenza, dell’esercizio della nostra posizione di padroni, cessazione da cui nasce la facoltà della Creazione di essere autonoma.
È molto difficile per noi esseri umani non esercitare quel minuscolo potere che abbiamo, o che crediamo di avere, sulle cose e sulle persone. Riconoscere che il mondo sa vivere senza il nostro intervento diretto, imparare a contemplarlo e smettere di cercare di dominarlo costi quel che costi, è il centro dell’esperienza sabbatica e uno degli esercizi di più alta spiritualità proposti dall’ebraismo.
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