Di André Gounelle*
Traduzione di Giacomo Tessaro
Quando ne ho sentito parlare per la prima volta ho pensato si alludesse allo scandalo di Panama, che attorno al 1890 rese pubblica la corruzione di parte dei politici del nostro Paese. All’epoca si diede la caccia e si denunciarono i “tangentomani” che avevano intascato denaro per favorire le dubbie operazioni di una grande società in crisi. Quella di oggi è certo una cosa molto diversa. Rimane il fatto che la corruzione e gli intrallazzi sembrano attecchire in determinate regioni del nostro globo e che vi sono delle somiglianze, come le liste di nomi che circolano e che la stampa rivela, rovinando la reputazione di chi vi figura mentre altri hanno la fortuna di scampare alla delazione.
Tanto allora quanto oggi possiamo constatare la scissione tra la legalità e la giustizia. Possedere delle società off-shore non è illegale, a quanto pare; ma il loro possesso risponde a moventi il più delle volte profondamente ingiusti: servono soprattutto a sfuggire alle tasse o a lavare denaro sporco. Possedere tali società è un diritto, ma raramente è giusto. La giustizia non si limita ad essere in regola con i testi giuridici in vigore: è più profonda, riguarda la coscienza. A costo di passare per un terribile moralista, io trovo essenziale, per ciascuno di noi come per la società, sviluppare e coltivare una coscienza morale in cerca di quella rettitudine le cui esigenze vanno al di là della conformità formale alla legalità.
* André Gounelle, pastore, professore onorario all’Istituto protestante di teologia di Montpellier, è autore di numerosi libri e collaboratore di Évangile et Liberté da 50 anni.
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