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Confessione di fede e di fedeltà

Di Laurent Gagnebin

 

Traduzione di Giacomo Tessaro

 

La Riforma significa il ritorno alle fonti e, contemporaneamente, la preoccupazione di rivolgersi ai fedeli del suo tempo. Di conseguenza, ha sempre dovuto riflettere sul significato della “vera fedeltà”.

 

Il rapporto tra la tradizione e l’attualizzazione dei vari elementi liturgici dei nostri culti è una questione ricorrente. È una problematica dall’accento molto protestante. Fin dalle origini, la Riforma ha voluto un ritorno alle fonti, una ritrovata fedeltà alla Bibbia e ai Padri. Questo movimento si diresse a monte, con l’idea che più un fiume si allontana dalla sua sorgente, più rischia di essere inquinato. Al tempo stesso però la Riforma ha sempre voluto guardare a valle, ovvero rivolgersi direttamente ai fedeli (sacerdozio universale) e in maniera comprensibile a tutti (abbandonando la messa e la Bibbia in latino). La Riforma in origine era preoccupata del contesto; oggi, del culto. A questo proposito potremmo riprendere la formula di Jean Jaurès: “È nel suo cammino verso il mare che un fiume è fedele alla sua sorgente”.

 

La predicazione fa parte della liturgia

 

Qualcuno ha preteso che il culto viva in armonioso equilibrio nella misura in cui la liturgia vi rappresenta la tradizione e la predicazione, l’attualizzazione. Questo è falso. Si dimentica che la predicazione fa parte della liturgia e che in essa si può mostrare il proprio modo di essere fedele alle tradizioni. La predicazione non è un aerolite caduto dal cielo, né nel significato né nella forma. Quanto alla liturgia, in essa ritroviamo un grande scrupolo di attualizzazione, senza il quale molte delle sue parti non avrebbero più alcun senso. Il suono delle campane, il saluto, la confessione di peccato (spesso molto attuale), gli annunci, l’intercessione, le offerte, l’esortazione finale, tutto questo fa appello al nostro presente e vi fa riferimento. Per quanto riguarda il pane condiviso nella Cena, esso ci rinvia al “date loro voi stessi da mangiare”, che non si libra in un cielo metafisico e atemporale.

 

Cosa dire delle confessioni di fede? Per fedeltà a una storia e a una tradizione, a un “noi” ecumenico, alcuni privilegeranno come confessioni di fede il Simbolo di Nicea-Costantinopoli o il Simbolo Apostolico. Altri vorranno dei testi più fedeli alla Bibbia, dato che queste grandi confessioni di fede ignorano di fatto l’insegnamento, la predicazione e gli atti di Gesù. Si può esprimere l’essenza della fede tacendo questo aspetto centrale e immenso dei vangeli? Fedeltà alla Bibbia vuol dire anche rifiutare un vocabolario e delle categorie eterogenee alla Bibbia stessa, che derivano dalla filosofia greca (“della stessa sostanza del Padre”) a noi divenuta estranea.

 

La fedeltà ai contesti del nostro tempo

 

Si insisterà allora sulla necessità della fedeltà alla cultura e ai contesti scientifici del nostro tempo. Gesù “salito al Cielo” che “ritornerà” è una visione del mondo sorpassata. Alcuni penseranno, sentendo tali espressioni: Eccole, ancora loro! Si dirà che non si tratta tanto di vedere cosa questi testi dicono, ma piuttosto cosa vogliono dire. È giustissimo. Ma i nostri contemporanei non sono più, nella loro grande maggioranza, degli iniziati; di conseguenza prendono queste espressioni alla lettera. Si risponderà che questi modi di dire sono simbolici; certamente, ma solo in parte, perché la concezione dell’universo a tre livelli (cielo, terra, inferi) non era tanto un’immagine quanto la visione per così dire scientifica del mondo di allora, che non è più la nostra.

 

La vera fedeltà, quando si parla di confessioni di fede, consisterà quindi nel fare, oggi, lo stesso sforzo che hanno fatto ieri i nostri precursori nell’esprimere la loro fede per tutti nei contesti culturali e filosofici del loro tempo, e non nel ripetere delle formulazioni che non hanno nessuna eco nella nostra epoca e per la nostra epoca.

 

Una confessione di fede

 

Credo in Dio. Attraverso di lui l’universo e la nostra esistenza vengono creati sempre di nuovo. Nel cantiere del mondo, il suo Spirito ci anima e ci sostiene. Egli dà ogni giorno alla nostra vita un senso positivo, una fondamentale dignità, una vocazione creativa.

 

Dio è l’avvenire dell’essere umano. La sua presenza eterna supera lo spazio e il tempo.

Credo che Gesù ci faccia intendere la sua Parola. Egli è colui che noi ascoltiamo e al quale ci rivolgiamo per sapere chi è Dio e chi è l’uomo: un Dio d’amore, secondo la Bibbia; un Dio per il quale l’essere umano e la terra intera sono una speranza invincibile. In Gesù, l’uomo e Dio sono per sempre ri-uniti e inseparabili. Egli è un esempio per noi e per il mondo.

 

Riconosciamo una sola Chiesa, universale e conosciuta solo da Dio. Essa esiste al di là delle istituzioni cristiane e delle frontiere religiose.

 

Credo all’amore, che è più forte della morte.

 

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À propos Gilles

a été pasteur à Amsterdam et en Région parisienne. Il s’est toujours intéressé à la présence de l’Évangile aux marges de l’Église. Il anime depuis 17 ans le site Internet Protestants dans la ville.

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