È mezzanotte, salto in macchina e mi assale ogni sorta di paure, al di sopra delle quali galleggia il timore di non essere all’altezza. Arrivata sul posto, la famiglia ancora per strada, apprendo che il paziente, Larry, è stato rianimato e trasferito in terapia intensiva. Mentre guardo impressionata le infermiere e i medici attorno a questo giovane uomo incosciente, una di esse si avvicina a me. “Ce n’è un altro” mi dice indicandomi un’altra camera a qualche metro di là. “Peter sta per morire; la famiglia sta arrivando. Per quello sicuramente non c’è nulla da fare.” Quando la madre e la compagna di Peter arrivano, il paziente è deceduto. Le due sono in lacrime. Le infermiere le lasciano sole nella camera con lui. Io le seguo sperando, senza riflettere, di poter essere utile. “Get out, please!” grida la compagna: esco realizzando il mio errore. Quel momento era il loro: non avrei dovuto immischiarmici senza essere invitata. Qualche minuto più tardi le raggiunge un’infermiera che spiega le circostanze della morte del paziente. Si è spento in pace; l’indomani le donne avrebbero dovuto prendere una decisione sul suo mantenimento in vita. “Ora gradirebbero una preghiera” mi dice l’infermiera. Entro in quella grande camera piena di apparecchi silenziosi. In un angolo dei palloncini colorati con la scritta “Happy Father’s Day”. Mi metto a sedere vicino alla madre, che piange silenziosamente. Senza preavviso mi metto a piangere con lei e mi ci vogliono diversi muniti per poter parlare. Le dico quanto mi dispiace per quello che è appena successo e mi metto a pregare. Le mie frasi sono brevi, parlo della presenza di Dio in questo istante accanto a chi soffre, di Peter nella luce della presenza divina e prego per il conforto di chi resta, coloro che lo amano. Dico che i ricordi e le esperienze condivise con Peter appartengono a loro per sempre, che nessuno le separerà da essi. Cito il re Davide davanti a suo figlio morto: “Non ritornerà, andrò io verso di lui”. Finalmente taccio. La madre mi dice gentilmente “That was beautiful”. Restiamo in silenzio. Mi piacerebbe iniziare una conversazione che le permetta di parlarmi di suo figlio ma non trovo le parole. Perché non ho chiesto semplicemente “Mi parli di lui”? Spiego che devo vedere l’altro paziente e che ritornerò più tardi.
La madre è arrivata al capezzale di Larry, il cui cuore continua a indebolirsi. Ho il tempo di presentarmi, poi a un tratto gli avvenimenti precipitano. Questa volta il paziente è perduto. La madre di Larry piange, il medico la stringe tra le braccia. Tutti lasciano la stanza. La madre si volge verso di me e mi chiede di pregare per suo figlio. Le prendo la mano e preghiamo assieme. Poi mi chiede di rimanere sola con lui e suo marito appena arrivato.
Attendo nel corridoio che l’una o l’altra famiglia abbia bisogno di me. Questa pausa non è inutile: continuo a tremare anche se mi sono ripresa. Ritorno dall’altra famiglia che ha delle domande sulle formalità da espletare. Rispondo e do loro il numero dell’infermiera supervisore, che dovranno avvisare quando le pompe funebri verranno a prendere il corpo. Le due donne si preparano a partire. La madre di Peter mi stringe tra le braccia. Le guardo allontanarsi: la compagna ha tra le mani i palloncini con scritto “Happy Father’s Day”.
Un altro codice blu si è attivato alle sei del mattino; una paziente che ha potuto essere rianimata. Io prego con le sue figlie. “Non tutte le notti sono così agitate” mi dice Greg, il cappellano supervisore un po’ più tardi. Mi assicura che, statisticamente, non sarò più obbligata a delle notti così intense. Ne prendo atto, depositando il cercapersone sulla sua scrivania. Ma mercoledì prossimo sarà di nuovo il mio turno di prendermi in carico questo “cercapersone”, dalle 16 fino alle 8 del mattino del giorno dopo, una lunga notte imprevedibile, di cui non so nulla.
Pour faire un don, suivez ce lien