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Nicodemo, ingenuo dello Spirito

È di notte che Nicodemo il fariseo va ad incontrare Gesù. Per fortuna che c’è la notte: per non essere più assorbiti da ciò che vediamo, perché le rappresentazioni si interrompano, perché l’invisibile sia meno invisibile e il sensibile più sensibile. Così Nicodemo ha i suoi tormenti notturni. Avanza nell’ombra, quella della notte e quella del suo sapere: noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio… Nessuna domanda diretta, nessuna illuminazione su ciò che spinge Nicodemo verso Gesù. Così è Gesù che lo obbliga a uscire dall’oscurità con una immagine tanto luminosa quanto provocante: se uno non è nato di nuovo (dall’alto)…

Come può essere? La domanda ripetuta due volte da Nicodemo è spesso intesa nel quadro dell’ironia tipica del quarto vangelo: un’ironia che invita il lettore più all’attenzione che alla beffa verso chi sembra non capire. Talvolta o spesso non è difficile parlare apertamente e chiaramente di ciò che più ci sta a cuore: chi sono io? Chi sei tu? Cosa c’è tra me e te? Quelle domande che abitano e assillano i giorni e le notti, le notti soprattutto…

Come può essere? La domanda sembra ingenua. Nicodemo è un maestro: ha imparato a riflettere, a pensare. Ma ecco che si trova impreparato, incapace di interpretare l’immagine del nascere di nuovo, dall’alto, d’acqua e Spirito. Quello che sa e crede su Dio, sull’uomo, sulla vita non lo illumina. Sprovvisto del suo sapere Nicodemo è un ingenuo, ma di una ingenuità che non è né credulità né stupidità: è lo spazio lasciato in lui per una parola nuova e feconda, una forma data a quel qualcosa, forse quasi niente, che l’aveva fatto uscire la notte.

Bisognava davvero che Nicodemo fosse ingenuo, perché Gesù gli parla di nascere e “ingenuo” (naïf) significa in primo luogo “nativo” (natif). Diventare ingenuo, nativo del Soffio in un istante di ignoranza, di innocenza, un istante sospeso che lascia intravedere che si può ancora nascere in un mondo diverso da quello delle rappresentazioni che sono già lì, semplici e senza acrimonia.

Quell’ingenuità non lo lascerà mai. Se non diventa un discepolo di Gesù come lo sono Pietro o il discepolo amato, Nicodemo vede ormai in maniera diversa, al di là del visibile, delle rappresentazioni e dei saperi. È certamente questo che gli permetterà più tardi di porre una vera domanda ai suoi pari che vogliono fare arrestare Gesù: la nostra legge giudica forse un uomo prima che sia stato udito e che si sappia quello che ha fatto? Incapaci di rispondere senza condannare se stessi, i farisei si rifugiano nel disprezzo.

Questa visione rinnovata è anche quella che gli permetterà di seppellire, assieme a Giuseppe di Arimatea, il corpo di Gesù preparandolo come il corpo di un re – il re dei Giudei? – quando gli altri discepoli saranno tutti fuggiti.

Questa è la fede? È credere?

Bisogna rispondere immediatamente e definitivamente? Oppure riprendere di nuovo la lunga marcia di Nicodemo, all’ombra dei capitoli del vangelo… Le sue tre apparizioni donano al suo nome come una piccola musica, notturna naturalmente, che resta nel cuore, discreta e modesta, per restare in ascolto di chi, come lui, è in ricerca nell’ombra. Una piccola musica per rimanere riconoscenti e benevoli verso coloro che a causa delle loro pecche interiori, delle fragilità intime, delle contraddizioni interne e delle ambiguità costitutive camminano furtivamente e lentamente.

Chi vorrebbe gettare loro la pietra?

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