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Quelle parole che non sono amate : Yahvè

 Mi ricordo quando, influenzati dalla nuovissima traduzione della Bibbia di Gerusalemme (1955) poi da quella della Pléiade (1956) i pastori si misero a dire Yahvè, là dove le versioni precedenti designavano Dio chiamandolo Signore o Eterno. Fu Olivetano che per primo, nella revisione (1537) della sua traduzione della Bibbia, rese il nome divino con “L’Eterno”. Dire Yahvè, innovazione che scioccò più di un fedele, faceva al tempo stesso dotto e trendy !

L’etimologia del nome divino viene spesso collegata, sulla scia di Esodo 3,14-15 e 6,2-3, al verbo essere. È una interpretazione interessante, ma discutibile.

L’utilizzo dell’appellativo Yahvè mi sembra contestabile. Questo termine designa Dio con un nome e non semplicemente con un titolo. Dio rischia così di essere percepito come un individuo tra gli altri, il che non è. Di conseguenza, nella misura in cui il nome designa la personalità e la possibilità di avere così presa su di essa, Dio nominato sembra allora cadere in nostro potere, mentre in realtà ci sfugge totalmente. D’altra parte, quando si sa che gli Ebrei non pronunciano il nome di Dio ma leggono e dicono Adonai (Signore) al posto di Yahvè, sarebbe bene, per fraternità e rispetto verso di essi, fare lo stesso. Cosa che fanno d’altronde molte versioni attuali della Bibbia. A conti fatti, rifiutarsi di dire Yahvè significa riconoscere il mistero di Dio e la sua trascendenza.

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