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Piccolo elogio della bestemmia

 Meister Eckhart (1260-1328) scrive, da qualche parte, questa formula sorprendente: “Anche quando bestemmi, tu lodi Dio.”

Di quale Dio ridi? Di quale Dio sei ateo? Di quale fantasma di Dio sei ateo? Forse è lo stesso fantasma di Dio di cui anch’io, credente, sono ateo e rido? Per fortuna, il novanta per cento di quello che la gente chiama Dio non esiste…

Eckhart vuole dire che la bestemmia non è per forza offensiva per una fede autentica. Può, al contrario, aiutarci ad approfondire l’autentico rispetto, e renderlo più spirituale. In questo caso, la bestemmia giustifica ciò che deve stare nel museo del folklore religioso. Abbraccia la dimensione di ateismo presente nel cristianesimo: nessuno ha mai visto Dio (Giovanni 1,18). I primi cristiani furono tacciati di essere atei e perseguitati come tali perché se ne infischiavano del culto dell’Imperatore di Roma…

La bestemmia va a bersaglio quando offende le nostre caricature di Dio, ovvero le immagini mentali che ci facciamo di lui. Queste immagini mentali sono in ogni caso per forza inesatte poiché Dio non ha immagine. Come se non bastasse, in ebraico biblico il nome di Dio si riassume in quattro consonanti senza vocali. Oltre a essere irrappresentabile, Dio è impronunciabile. C’è da ridere, veramente…

La fede può e deve manifestare una forma di insolenza legittima in faccia al divino.

I Profeti non temono di passare per bestemmiatori quando denunciano il formalismo e l’oblio della Legge -oblio della Legge che può consistere in un’obbedienza superficiale per meglio ignorarne il cuore.

Gesù è trattato da bestemmiatore quando agisce in maniera incisiva nei riguardi del clero del Tempio di Gerusalemme -cosa che probabilmente gli sarà fatale-, mentre i romani subodorano da parte sua un potenziale sacrilegio verso il culto dell’Imperatore.

La fede genera un distacco, una distanza dai sentimenti religiosi umani. C’è allora dello spazio per la bestemmia, a condizione, secondo me, che quest’ultima sia improntata all’humour e all’autoderisione. Qui salta fuori il riso che fa così paura ai monaci del Nome della Rosa di Umberto Eco. Il riso offende il sacro demistificandolo e facendolo scendere dal suo trespolo. A queste condizioni la bestemmia è una forma di iconoclastia positiva, un principio critico della fede capace di rimettersi in discussione.

Il riso, a modo suo, è ragionevole. Fa parte dei piccoli aiuti di Dio. L’humour può essere una forma di amore, perché no?

Quanto al diavolo, non è in fondo l’arroganza di spirito, la fede senza sorriso, la verità monolitica, mai sfiorata dal dubbio? Un fanatico non è, in definitiva, qualcuno che manca totalmente di humour?

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