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Condividiamo gli stessi valori?

 David Meyer et Jean-Marie de Bourqueney

Traduzione Giacomo Tessaro

il rabbino David Meyer e il pastore Jean-Marie de Bourqueney hanno
pubblicato Il Minimo umano, opera di riflessione sul modo di preservare il legame sociale e la
coesistenza pacifica delle diverse comunità appoggiandosi sui valori universali. Non sarebbe
bene, oggi, avere un nuovo approccio?
Condividiamo gli stessi valori?
La nostra epoca dà grande importanza all’interculturalità. Dibattiti e incontri sul tema del “ vivere
insieme ” in questa nostra società diversificata si moltiplicano. Noi due siamo impegnati in questi
dialoghi da numerosi anni. Però facciamo la stessa constatazione: ne abbiamo abbastanza del “
religiosamente corretto “ e dell’autocompiacimento. Ci si incontra, ci si parla, con “ motti di spirito
“ amabili e di reciproca simpatia. Noi vogliamo andare oltre a questo “ dialogo cosmetico “ per
andare fino in fondo alle problematiche.
Una riflessione sull’interculturalità non è possibile senza consacrare uno spazio sostanziale a un
dibattito teologico critico sui valori di questo “ vivere insieme ”, visto che le nostra società sono
senza dubbio eredi di insegnamenti religiosi. Sfortunatamente, se la società civile sa fare prova di
coraggio interrogandosi sulla natura del legame sociale nella diversità, gli incontri puramente
interreligiosi sono sovente molto più cauti. Troppo spesso in effetti il dibattito religioso trova un
rifugio confortante scambiando i valori dell’universale messianico in cui l’unità totale e l’armonia
degli uomini sono le condizioni preliminari.
Allora, davanti alla realtà presente, che non è messianica, quali sono questi valori da condividere?
Abbiamo realmente una visione comune nella quale “ amore “, “ giustizia “, “ tolleranza “ e “
rispetto “ sarebbero l’espressione di speranze comuni, ancorate nel più profondo dei nostri testi
fondanti? Per quello che riguarda la tradizione ebraica, è verso il testo talmudico delle sette leggi di
Noè che bisogna volgersi. Un autentico documento legale che pone come preambolo alla possibilità
di esistenza di una società diversa il rigetto di ogni forma di ideale – compresi quelli della Giustizia
e dell’Eguaglianza – preferendo il modello di una società “ decente “ e che, al suo meglio, lotta
contro le ineguaglianze più palesi senza tuttavia cercare di abolirle. Come non rimarcare che questa
riflessione sul “ vivere insieme “ generata dai testi della tradizione ebraica è ugualmente
caratterizzata dall’assenza totale di riferimenti ai grandi valori di amore, di giustizia, di
compassione, riflessi di una speranza molto contemporanea – e forse troppo ingenua – della
capacità dell’uomo a immaginarsi altro da quello che realmente è: un essere fallibile e fragile.
Il cristianesimo, per parte sua, si trova in una situazione inedita: come conservare la sua “ vocazione
universale “ senza cadere in uno spirito di crociata, di conquista? Come conciliare la realtà del
nostro mondo diversificato e questa volontà di affermare che il Cristo ha portato un messaggio
universale? Questa questione si è posta ai cristiani…dal primo secolo ! Ahimé, sovente il
cristianesimo ha compreso la sua vocazione universale come una logica di conquista, delle anime e
dei territori. Questo ha senza dubbio influenzato il nostro mondo occidentale, dal momento che una
delle manifestazioni di questa logica di conquista è la nostra propensione a voler imporre al mondo
le nostre vedute, sui diritti dell’uomo o la democrazia. Il “ mio “ universo diventa l’universale…Ma,
dall’origine del cristianesimo, un’altra via è venuta alla luce, rimanendo sovente minoritaria: e così
vivere l’universale significava accogliere la diversità…Per questo punto di vista, ci si focalizza sulla
profondità del dialogo più che sulla volontà sistematica e puerile di mettere d’accordo tutto il
mondo. Una nuova comprensione dei valori universali viene allora alla luce: preferire la nozione di
valori comuni che si impongono a tutti perché tutti sono stati ascoltati, piuttosto che un valore
imposto a tutti da alcuni. Il cristianesimo si ripensa perché l’umanità si ripensa.
Il confronto dei nostri rispettivi “ minimi umani “ è dei più affascinanti e dei più inquietanti, pur
restando sempre portatore di speranza. Di speranza, poiché, al di là delle differenze che noi
accettiamo e delle quali misuriamo i rischi, è nell’umiltà e nell’onestà dell’approccio di tale ricerca
critica sui nostri testi fondanti che si trova la convergenza più probante dei nostri valori. Il luogo
reale della nostra universalità comune sarebbe forse nel progredire di una ricerca piuttosto che nel
suo risultato?

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