Di Émeline Daudé*
Traduzione di Giacomo Tessaro
* Émeline Daudé è pastora in prova della Chiesa Protestante Unita a Montpellier, impegnata da molto tempo nei movimenti per i diritti LGBT e femministi.
“La Chiesa è l’assemblea di tutti i credenti di fronte ai quali viene predicato il puro Evangelo e i santi sacramenti vengono amministrati conformemente all’Evangelo.” (Confessione di Augusta)
Al di là delle considerazioni dogmatiche sul nostro retaggio luterano e riformato, io leggo questa definizione nel senso di una Chiesa che considera l’essere umano fatto di spirito e di corpo. L’annuncio della Parola è scritto, detto e ascoltato quando quella stessa Parola è vissuta e condivisa.
In tali circostanze, una riflessione sulla possibilità di celebrare la Cena dovrebbe iniziare, a mio avviso, con il mettere in luce la nostra comprensione teologica di questo sacramento e della sua storia. Qual è il suo senso? A cosa ci rimanda?
Per me la Cena rimanda al senso dell’intera vita di Gesù Cristo, al dono della sua vita per tutti e per me; alla testimonianza del Regno a venire, testimonianza della comunità riunita; e alla testimonianza della varietà e della solidarietà del corpo di Cristo riunito. Concepisco la Cena come un’esperienza di fede tanto individuale quanto comunitaria, in cui l’esperienza spirituale e corporale viene prima di ogni tipo di spiegazione, proprio come nel racconto che troviamo in Marco, in cui il verbo “dire” è l’ultimo che viene menzionato.
In questi giorni, in cui alterniamo il tempo passato in casa con la possibilità di spostarci e i contatti interpersonali sono difficili, non dobbiamo cercare di compensare questa mancanza attraverso soluzioni troppo facili, che rischiano di farci perdere il senso della Cena.
Se vogliamo riunirci per fare Chiesa, lo possiamo fare tanto “in presenza” quanto “a distanza”, ma essere fisicamente i testimoni che distribuiscono il pane e il vino, sotto gli occhi di tutti, alla comunità riunita, lo possiamo a distanza? Non credo, ma posso comunque tentare di farlo “in presenza”, con tutte le precauzioni sanitarie. Altre Chiese, in altri tempi, ci hanno preceduti con la distribuzione del pane e del vino da parte di un officiante, con bicchierini individuali al posto del calice comune, con un culto annuale e non settimanale.
Tutto sta quindi nel trovare un equilibrio tra dire e vivere, tra senso spirituale e senso teologico, tra l’agire in sicurezza dal punto di vista sanitario e la ricezione comunitaria e individuale. Una bella quadratura del cerchio… della Cena.
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