Di Henri Persoz
Traduzione di Giacomo Tessaro
Spesso i giovani mi dicono: quest’estate vado “a fare il volontario” in Vietnam, in Nepal o in un altro paese esotico. Vanno a fare volontariato come si andrebbe a fare scoutismo o windsurf. Quando al loro ritorno chiedo in cosa sia consistito il loro volontariato internazionale rimangono un po’ sul vago, dicono che il tutto era mal organizzato ma che conservano un bel ricordo degli incontri con quelle popolazioni lontane, che vivono con pochi mezzi e in generale sono molto accoglienti. Questi giovani hanno dei buoni sentimenti e laggiù possono rendere dei buoni servigi e testimoniare la loro generosità. Ma avremmo un certo sviamento linguistico e di senso se il volontariato diventasse in primo luogo un modo di fare delle vacanze pagate. Dopo tutto, cos’è il volontariato? Forse si tratta semplicemente dell’incontro dell’uomo con l’uomo. E l’uomo in capo al mondo, che vive come molti secoli fa, non raggiunto dagli slittamenti della nostra civiltà, ha con tutta evidenza qualcosa da insegnarci. Chi aiuta in questo caso? I nostri giovani volevano rendere un servizio a quei diseredati lontani. L’hanno fatto, più o meno efficacemente. Sono stati loro però a maturare, trovandosi brutalmente a vivere una vita dura, spesso senza acqua corrente e senza elettricità e talvolta senza gabinetto, non potendo mangiare che una ciotola di riso al giorno. Hanno legato, con simpatia e complicità, con i loro ospiti, al di là della difficoltà della lingua. Sì, il volontariato internazionale ha degli aspetti positivi, dopo tutto. Mostra ai nostri giovani che siamo degli autentici privilegiati e che la felicità non consiste unicamente nell’aumentare il “potere d’acquisto”, come vorrebbero farci credere i nostri media.
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