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Verso nuovi simboli religiosi?

Possono oggi prendere forma dei nuovi simboli religiosi, che siano contemporanei, illuminanti, entusiasmanti? I simboli autentici e veraci non si elaborano a tavolino. Per imporsi devono essere “generati”. Non si possono sopprimere antichi simboli debitamente conservati senza rimpiazzarli con altri. I simboli antichi e nuovi si completano e si giustificano gli uni con gli altri. I simboli possono certamente anche “morire”: succede quando non sono più ancorati in una esperienza individuale e comunitaria.
I simboli sono necessariSecondo Paul Tillich (1886-1965) tutte le espressioni o rappresentazioni concrete e specifiche dell’Incondizionato o dell’Assoluto sono da comprendersi come dei simboli o delle parabole. I misteri dell’esistenza possiamo approcciarli solo a tastoni poiché oltrepassano la nostra capacità di comprensione. Non possiamo parlare di Dio se non meditando su di lui, aiutandoci con i mattoni presi a prestito dalla nostra esperienza dello spazio e del tempo. Non possiamo evocare ciò che sfugge al dominio spazio-temporale che attraverso le categorie dello spazio e del tempo.

Per principio, tutto quello che è di ordine terrestre può costituire un simbolo. Una persona può diventare simbolo, per esempio Gesù di Nazareth. O un avvenimento, come la crocefissione di Gesù. O dei fatti storici, negativi come Auschwitz, Hiroshima, Fukushima, o positivi come Lambaréné. O dei fenomeni naturali come l’arcobaleno. O delle rappresentazioni mitologiche ancestrali, come la nascita virginale di un eroe. O un’idea, come quella della Trinità di Padre, Figlio e Spirito Santo. La “materia del simbolo” rinvia molto al di là di se stessa a un “contenuto del simbolo”.

Una cosa diventa simbolo quando acquista un significato e una forza particolari, talvolta negativi, per un dato gruppo di esseri umani. Attraverso il simbolo traspare qualche cosa di veramente valido e significativo. Nel caso del simbolo religioso è il mistero divino che traspare — un mistero che non può essere espresso che in forma simbolica.
Quali nuovi simboli?Dei nuovi simboli religiosi avrebbero un posto all’interno del cristianesimo? Tillich ha ampliato il simbolo di Dio considerato come il “Padre”: “Per noi, Dio non è solamente un padre e una madre, ma anche un bambino.” Se questa formulazione simbolica deve essere presa in considerazione, potrebbe diventare un nuovo simbolo religioso: “Dio è Padre, Madre e Bambino.” In quanto liberi credenti non dovremmo avere difficoltà ad accettarlo.

Un simbolo religioso relativamente nuovo è quello della “morte di Dio” che Friedrich Nietzsche (1844-1900) per primo ha proposto. Ma in un contesto cristiano può venire ripreso solo se il Dio in questione non è propriamente morto, poiché ciò che sta alla base di tutte le cose e di tutti gli esseri non può morire. Questa espressione ha un senso solo in una atmosfera di indifferenza religiosa in cui molta gente ha espulso dalla coscienza non solo Dio ma anche ogni questione che lo riguarda.

Nella “teologia dopo Auschwitz” si riflette con insistenza sull’”impotenza” di Dio, in opposizione al simbolo tradizionale dell’”onnipotenza” di Dio. La “sofferenza di Dio”, il “Dio sofferente” o il “Dio che compatisce” sono dei simboli che derivano da quello che è accaduto durante le due guerre mondiali, l’Olocausto e i genocidi. Dio sembra non avere forza, salvo che la sua “onnipotenza” e la sua “impotenza” devono essere articolate l’una all’altra. La forza cosmica del Creatore che è all’origine di tutto, il “Dio onnipotente”, sono umanamente in contraddizione se li si guarda all’opera nella croce di Gesù. Dio si espone all’impotenza accordando la libertà alla natura e agli esseri umani. Non solo tollera che Gesù sia stato crocifisso, ma anche che, simbolicamente, gli uomini non cessino di essere messi in croce da altri uomini. Sussiste tuttavia la speranza nel compimento del “regno di Dio”: Dio perverrà ai suoi fini e avrà l’ultima parola.
Il Cristo cosmicoUn nuovo simbolo religioso è apparso per la prima volta nel 1900: quello del “Cristo cosmico”. Lo troviamo in Pierre Teilhard de Chardin (1881- 1955)e ha beneficiato di una larga risonanza alla terza assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese a Nuova Delhi nel 1961. Diventa teologicamente accettabile se, in un secolo di “demitologizzazione” non ci se ne approfitta per “remitologizzare” risolutamente e fare di Cristo un essere angelico, intermediario tra Dio e l’umanità, ma si distingue chiaramente tra il Cristo cosmico e universale e la sua manifestazione eminente, ma niente affatto unica ed esclusiva, in Gesù di Nazareth. Questo simbolo è in continuità con simboli biblici come la Saggezza, il Logos o Parola eterna di Dio (Giovanni 1, 1-14) o ancora il Dominatore di tutte le cose (Pantokrator).

Nella tradizione ecumenica il “Cristo cosmico” può essere compreso come la seconda “persona” della Trinità divina e significa infatti la stessa cosa che il “Logos universale” di cui parla Tillich e che si è manifestato in un “Logos concreto” in Gesù di Nazareth ma senza identificarsi completamente con lui. Si può per esempio fare l’esperienza del simbolo del “Cristo cosmico” negli incontri con i rappresentanti di altre fedi religiose, che noi sentiamo beneficiare anch’essi, a modo loro, della grazia di Dio. Il “Cristo cosmico” esprime quindi l’universalità della grazia. Alcuni teologi liberali come gli svizzeri Alois Emanuel Biedermann (1819-1885) o Martin Werner (1887-1964) hanno parlato in questo senso del “principio Cristo”.

Più recente è il simbolo religioso dell’arcobaleno che rimanda al racconto del Diluvio (Genesi 8-9). Rappresenta la riconciliazione e la pace tra Dio e gli uomini ma anche tra gli uomini stessi. Nell’ex Repubblica democratica tedesca la parola biblica sulle spade da cui si forgeranno vomeri (Isaia 2,4; Michea 4,3) acquistò un significato simbolico esistenziale nel Movimento cristiano per la pace.
La necessità di una riflessione teologicaAntichi o nuovi, i simboli religiosi devono accompagnarsi a una riflessione teologica. Il simbolo dell’”incarnazione” pone in effetti dei problemi se viene inteso nel senso di una “ominizzazione di Dio”, come se il Creatore si fosse trasformato in un essere umano. È al contrario ricco di senso se si tratta dell’”ominizzazione della Parola divina”: la Parola che viene da Dio si è incarnata in maniera incomparabile in Gesù di Nazareth. Il simbolo della Trinità è perfettamente ammissibile se fa capire che il Creatore, il Logos eterno (o Cristo cosmico) e lo Spirito divino formano un’unità (e non un’unità composta da Dio, da Gesù e dallo Spirito). Il Creatore è qui colui da cui proviene il Logos inteso nel senso di una manifestazione universale dell’amore divino, e lo Spirito concepito come una forza di compimento, di rinnovamento e di illuminazione.

Di tanto in tanto i tradizionalisti cristiani da una parte e i critici radicali della tradizione, ostili al cristianesimo, dall’altra vengono a stringere una sorta di malsana alleanza. Gli uni e gli altri affermano che i simboli cristiani sarebbero da prendere alla lettera, in tutto il vigore del loro senso letterale. La morte di Gesù è da intendersi realmente come un sacrificio espiatorio offerto a Dio. Pretendere invece che Gesù sia morto da martire, per fedeltà al suo messaggio sulla grazia e l’amore di Dio, sarebbe il risultato di un ammorbidimento e di un cedimento di ispirazione modernista. Per questo i tradizionalisti cristiani rimproverano ai liberi credenti di non avere la vera fede. Dal canto loro i critici della tradizione, ostili al cristianesimo, cercano di ridicolizzare la fede cristiana riducendola il più possibile alla sua forma più fondamentalista. Ricordiamoci a questo proposito della domanda che Friedrich Schleiermacher (1768- 1834), il “padre del libero protestantesimo”, poneva non senza inquietudine nel 1829: “Il legame annodato dalla storia sarà disfatto al punto che il cristianesimo farà causa comune con la barbarie e la scienza con l’incredulità?”

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