Certo, la grazia è il fondamento di una pratica religiosa disinteressata. Ma questo annuncio liberatore, che avrebbe dovuto liberarci dalla preoccupazione di noi stessi, ci ha al contrario troppo spesso ricentrati su di noi in una prospettiva moralizzatrice e colpevolizzante: confessare in continuazione il mio peccato, pensare sempre alla mia salvezza, vuol dire pensare sempre a me. Se la salvezza ci è procurata una volta per tutte, allora stiamo allegri e non parliamone più!
Se il sola gratia significa liberazione, allora fuggiamo queste geremiadi narcisistiche! Nel XVI secolo la proclamazione del sola gratia fu, per i cristiani terrorizzati dall’inferno, una predicazione liberatrice. Il nostro contesto è diverso: l’uomo della strada, come si dice, non è più ossessionato dalla sua salvezza nell’Aldilà. In ogni caso, il vocabolario teologico ereditato da Paolo (giustificazione, giustificato, giustizia di Dio…) gli è incomprensibile e non ha niente a che vedere con il senso corrente che queste parole hanno oggi.
Per raccontare l’essenza del protestantesimo ai nostri contemporanei non è infinitamente preferibile insistere soprattutto su due espressioni di libertà che gli sono proprie? Il libero esame: una lettura personale e critica della Bibbia, senza fondamentalismo. La libertà di coscienza che si oppone agli autoritarismi e ai fanatismi religiosi, per fedeltà all’insegnamento di Gesù. Sì; Evangelo e libertà!
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