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Pentecostalismo, sciamanesimo e manifestazioni dello Spirito

A Pentecoste i protestanti sono un po’ strani: gli uni sembrano diffidare, come per tradizione, di ogni manifestazione dello Spirito che possa presentarsi in modo troppo esaltato; gli altri, i pentecostali, cercano al contrario di perpetuare lo stato di trance e il parlare in lingue delle comunità cristiane primitive. L’apostolo Paolo, per esempio, ricordava ai Corinzi di essere capace di parlare in lingue “più di tutti loro” (1 Corinzi 14,18). Oggi il pentecostalismo è la forma di protestantesimo che fa più adepti nel mondo, Europa compresa. Chi ha ragione allora, che è fedele allo spirito del cristianesimo originale: i protestanti tradizionali, con la loro allergia a ciò che sa di esibizionismo, o le comunità che giocano fino in fondo la carta della pietà e dell’emotività?
Gli sciamani della preistoriaLa preistoria delle religioni può aiutarci a vederci più chiaro. Forse perché siamo troppo fieri di appartenere a quella che crediamo essere una civiltà avanzata, ci dimentichiamo di portare in noi, come se fosse inscritto nei nostri geni, il ricordo di quello che sono stati, di quello che hanno creduto e immaginato i nostri antenati di molte decine di migliaia di anni fa. Non praticavano ancora la scrittura le vestigia che ci hanno lasciato sono molto tenui, in particolare quelle che potrebbero riguardare la religione. Del resto i paleontologi non sono d’accordo tra loro sulla natura, religiosa o meno, del loro significato.

Molto caratteristico, a questo proposito, è il caso delle grotte dipinte, per esempio quelle di Pech Merle o di Lascaux: le loro pitture rupestri sono da considerare niente altro che opere d’arte o come delle rappresentazioni con un significato religioso? In effetti la domanda è mal posta, perché abbiamo tutte le ragioni di pensare che per le genti del paleolitico o del neolitico questa distinzione non avesse senso: per essi, tutto aveva una connotazione religiosa, tutto era in relazione con un certo al di là, con le forze sovra- o intraterrestri dalle quali avevano la sensazione di dipendere. Molti paleontologi, tra i quali il celebre André Leroy-Gourhan e, più recentemente, Jean Clottes, sono arrivati a pensare che questi “uomini delle caverne”, come li si chiamava un tempo, penetravano in quelle grotte essenzialmente per celebrarvi dei riti di portata religiosa. Jean Clottes e il suo collega sudafricano David Lewis-Williams pensano inoltre che quei rituali fossero probabilmente imparentati a quelli dello sciamanesimo: al ritmo dei tamburi e sotto l’effetto di droghe allucinogene, gli sciamani della preistoria entravano in trance in fondo alle grotte per mettersi in relazione con le potenze o gli spiriti che risiedevano precisamente al di là delle profondità della terra. Avevano così la convinzione e la sensazione di essere realmente “posseduti” da quegli spiriti.
Uno sciamanesimo cristiano?Rituali e credenze di ieri, dell’altro ieri o ancora più antichi? Faremmo meglio a chiederci cosa resta tra noi di quegli scopi e comportamenti sciamanici dei tempi preistorici. Se una parte dei primi cristiani, ma anche, prima di loro, i profeti d’Israele, provavano la necessità di entrare in uno stato alterato quando si credevano sotto l’effetto dello Spirito di Dio, non lo facevano forse in conformità a un tipo di comportamento che veniva proprio dalla preistoria? Sotto questa angolatura, lo sciamanesimo può essere considerato come come una delle forme di linguaggio nelle quali si esprime archetipicamente la nostra relazione con il divino.

Evidentemente lo sciamanesimo non è la sola di queste forme. Ci sono anche la mistica o la filosofia. Ma i teologi o i metafisici, come i chimici o i fisici, non sono forse, alla loro maniera, i successori degli sciamani della preistoria e gli eredi della loro ricerca di una verità che finisce sempre per situarsi al di là di ciò che siamo in grado di raggiungere o di pensare? Con una differenza sostanziale: per dedicarsi alla loro ricerca di conoscenza non entrano in trance. Ma faremmo male a sopravvalutare questa differenza, poiché infine la passione che i migliori tra di essi mettono nelle loro ricerche o nelle loro riflessioni, atei compresi, riflette alla loro maniera quella che gli sciamani di allora mettevano nella loro sete di saperne di più sulle intenzioni delle potenze con le quali cercavano di stabilire il contatto.
Due lingue di PentecosteRitorniamo alla Pentecoste cristiana. Già nel Nuovo Testamento essa dà luogo a due tipi di comportamento che corrispondono a due modelli di interpretazione: il primo, ancestrale, può essere considerato come di origine sciamanica e implica delle manifestazioni di tipo estatico che si accompagnano, per esempio, al “parlare in lingue”, vale a dire il proferire sillabe senza legame logico tra loro; il secondo, nettamente più recente, riveste un carattere più razionale e implica il subentrare di una riflessione o di una meditazione se possibile ben controllata. Bisogna opporli l’uno all’altro come siamo troppo facilmente tentati di fare? Esperto in materia, l’apostolo Paolo ha perfettamente riconosciuto la legittimità del parlare in lingue, ma a condizione che sia accompagnato da una interpretazione, vale a dire da un messaggio chiaramente formulato. Del resto, Walter Hollenweger, uno dei migliori conoscitori del pentecostalismo contemporaneo, ha spesso fatto notare che, nelle comunità latinoamericane, le guide estatiche del culto sono sempre accompagnate, se non doppiate, da un altro responsabile che conserva la freddezza di controllare che tutto vada bene: una situazione quasi paolina!

Quando si arriva in un ambiente di cui non si conoscono né la lingua né le usanze, si è facilmente sconcertati: per esempio quando un protestante ben occidentalizzato si trova in presenza di un culto dal sapore pentecostale. Ma è esattamente quello che succede quando chi ha vissuto in una cultura sensibile alle esaltazioni è di passaggio in uno dei nostri culti: si chiede cosa ci sia dietro a tanta immobilità e padronanza di sé. Seguendo la direzione che prenderà l’evoluzione culturale della nostra società, può darsi benissimo che le nostre usanze tradizionali in materia perderanno la loro pertinenza e che il futuro appartenga a delle forme di cristianesimo più simili al pentecostalismo. Ma non abbandoniamo il certo per l’incerto: Alexandre Vinet (1797-1847) aveva ragione di volere “l’uomo padrone di se stesso perché sia meglio servitore di tutti”. E l’apostolo Paolo di preferire, in una assemblea, “dire cinque parole intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua” (1 Corinzi 14,19).
Poesia dell’ispirazionePerché alla fine, cosa vuol dire essere ispirati? Bisognerebbe domandarlo ai poeti o ai compositori: alcuni lo sono davvero, altri si contentano di fabbricare musica o poesia. Auguste Sabatier (1839- 1901), che aveva esaminato da molto vicino il caso dell’apostolo Paolo, ha avuto ragione di caratterizzare così il tipo di ispirazione di cui ha beneficiato:

“La forza di questa profezia ispirata viene dall’evidenza luminosa che scaturisce dal di dentro, che riscalda e illumina lo spirito come un fuoco interiore. Sotto l’effetto di questa illuminazione, l’apostolo si sente moltiplicare le forze; si innalza, con un salto potente, al di sopra di se stesso. Le sue facoltà sono portate al massimo di energia e di potenza. Lungi dall’essere passivo e simile ad uno strumento inerte, mai la sua intelligenza fu più intensa, né più ricca; i suoi pensieri più chiari e meglio concatenati, le sue parole più facili, più abbondanti, più colorate e più espressive, la sua voce più squillante e più ferma, il suo gesto più imperioso. La poesia rifulge sul suo stile; l’eloquenza deborda suo malgrado dalla sua bocca, e sente che è nel momento in cui è più se stesso, in cui il suo proprio genio e più libero e più originale, in cui la sua personalità morale è meno asservita, che egli attinge alla più alta ispirazione e diviene più sicuramente lo strumento della verità eterna.”

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