Accueil / Traductions / Italiano / “Io non confondo musica religiosa e musica sacra”

“Io non confondo musica religiosa e musica sacra”

Antoine Bosshard: Lei è credente?Michel Corboz:

Sì, lo sono. Come un artista, diciamo. Ma per tornare alla sua domanda, la musica sacra, sono le mie origini, è la mia infanzia nella Gruyère. È un villaggio, e in questo villaggio una chiesa, in cui l’istitutore dirige la corale dei bambini e suona l’organo; accompagna i funerali e i matrimoni ma anche tutte le messe della domenica. Mio padre cantava nella corale della chiesa; mio zio, che si è occupato della mia formazione musicale dall’età di sette anni, ha passato la sua vita a dirigere musica chiesastica. Ha anche fondato una corale, nella chiesa di Saint-Pierre-aux-Liens a Bulle, nel cantone di Friburgo. Quando immaginavo il futuro, non osavo pensare che questo un giorno sarebbe stato il mio mestiere, né che avrei diretto la Messa in si minore o il Requiem di Mozart. Mi vedevo come istitutore, in campagna, a passare un bel po’ di tempo in parrocchia, a suonare durante le celebrazioni. Bisogna infine dire che la musica antica, barocca e preclassica, è ciò nonostante scritta, per l’essenziale, da e per maestri di cappella !A chi sta pensando: a Schultz?A Schultz, a Schein, a Scheidt, e naturalmente a Johann Sebastian Bach. E anche a Telemann, di cui si conosce soprattutto la musica sacra. Monteverdi, che è l’autore dell’imponente Selva morale – 72 pezzi di musica spirituale, un vero tesoro ! – è riuscito anche a scrivere un’opera come Orfeo, che, per la sua atmosfera, resta musica sacra poiché è una lamentazione (cosa che non gli ha neanche impedito di comporre, a 73 anni, L’Incoronazione di Poppea, un’opera perfettamente amorale !).Per quanto riguarda le sue esperienze infantili, non bisognerebbe parlare ancora dell’importanza del canto gregoriano?  Il gregoriano mi ha accompagnato sempre, mi ha guidato, ed è, ai miei occhi, il modello stesso della musica sacra. Parlo di musica sacra e non di quella musica religiosa che si trova per esempio in quella piccola Messa di Mozart con il suo D-o-o-n-a n-oo- bis p-a-a-cem : sembra un gregge di caprette che saltellano sul prato ! Con quella musica non mi ritrovo in una chiesa, romanica o gotica: già da giovane avevo bisogno di ascoltare, in chiesa, delle musiche conformi all’arco romano. Alla pietra. Un gusto che risale a quei primi anni; non sono gli studi che l’hanno forgiato. Se, in seguito, ho lavorato ad altre opere di repertorio, un po’ meno sacre, come la Messa da Requiem di Puccini, lo devo molto alla personalità del direttore artistico della casa Erato, Michel Garcin, che cercava di inserirmi in altri settori.A 19 anni lei lascia la sua Friburgo, così musicale e al tempo stesso così cattolica, per la chiesa del Valentin a Losanna, una Losanna allora molto protestante. A dispetto della distanza tra le due città – circa 80 chilometri ! – non si è trasferito in un altro mondo, in termini di musica religiosa?Lì avevo qualche amico cantante, incontrato nel corso delle estati À Coeur Joie organizzate da César Geoffray a Friburgo. Ci siamo rivisti, eravamo una decina, e poco a poco, su loro richiesta, sono arrivato a dirigerli. È vero che, arrivando, mi sono sentito in terra protestante: una cantante, che i miei amici mi avevano raccomandato, e a cui mi ero rivolto perché si unisse al mio primo ensemble, rifiutò quando apprese che il concerto si sarebbe svolto nella chiesa cattolica ! Ma i miei migliori amici erano protestanti. Cantavamo di tutto: Janequin (le Chant de Oiseaux), ma anche Vitoria. Dei mottetti di Poulenc, ma anche delle canzoni profane. Si creavano anche delle opere: Dante Granato, Joseph Reveyron, Julien-François Zbinden, Antoine Chenaux, Léon Aubert…
Il suo arrivo coincide, insomma, con un altro fenomeno: la ricomparsa di una sorta di corale, composta da cantanti più agguerriti, opposta alla grande formazione tradizionale, aperta alla massa dei laici. Cambiamento che va di pari passo con una interpretazione rinnovata del repertorio, forse più professionale, più leggera, più trasparente…Quando sono arrivato a Losanna, l’ensemble che brillava era il Coro dei Giovani della Chiesa nazionale del Vaud, diretto dal talentuoso André Charlet. Ma la differenza di interpretazione tra di noi, che oggi posso misurare a proposito degli stessi spartiti, dipendeva sicuramente dal fatto che la mia veniva dal canto gregoriano. Io ero meno bloccato dalla barra di misura.Grazie a un approccio al fraseggio marcato dal gregoriano? Diciamo che, di fronte agli altri, ho innovato (un poco) portando più orizzontalità nella musica. Mentre con loro si faceva precisa, con begli accordi che si legavano, io giocavo di più sulla polifonia e facevo cantare di più le file interne. Là va cercata senza dubbio la differenza che lei evoca. È la stessa cosa che mi ha detto Charlet poco tempo fa. A dire la verità ignoravo che questo fosse un vantaggio.Ritorniamo all’idea di musica sacra. Qualche anno fa lei era incerto sul carattere sacro della musica religiosa di Mozart, di cui si ricorderà, con la musicologa Brigitte Massin, che le due opere corali più importanti – la Messa in do minore, il Requiem – sono, l’una completata da un altro musicista, l’altra incompiuta. Cosa ne dice oggi?Queste due opere, secondo il mio gusto, sono di natura sacra, come lo sono, del resto, i concerti per pianoforte in do minore e in re minore. Al contrario, tutte le sue messe brevi, le Litanie, i Vespri, non lo sono. Il miracolo è senza dubbio che il Requiem abbia potuto essere così lodevolmente completato, compiuto da un’altra mano, da un altro musicista, oscuro !Mi pare di capire che, per lei, il sacro non ha un legame immediato con la musica religiosa…La musica religiosa è quella di cui ci si serve durante le celebrazioni, i culti. La gente si alza, canta un inno, si siede, si rialza, canta un altro inno. Legata a questo gesticolare da…boy scout, quella musica non ha niente a che fare con il sacro. Non ne ha né il significato né la profondità, come il gregoriano, come la musica dei grandi polifonici del Rinascimento.E cosa ne pensa di musiche più teatrali, come la Petite messe solennelle di Rossini o il Requiem di Verdi? Il sacro non è assente dalla Petite messe anche se è molto scaltra ! Ma il Requiem di Verdi è composto da molte melodie profonde, come il Salvame, o il Libera me. O ancora il Kyrie, in cui non c’è una nota che non sia spirituale, in maniera molto profonda. Certo, il temperamento di Verdi è quello di un uomo di teatro, che a momenti picchia con gli strumenti, e ruggisce.
Approfondiamo. Quando lei parla di sacro, parla d’istinto, per intuizione…È vero. Io sento l’atmosfera sacra che desidero.Ci sarebbe allora un legame tra la qualità della musica e la nozione di sacro?Una musica sacra non ha nessuna nota di troppo. Alcuna nota inutile. Una musica ridotta alla più grande semplicità, ed è in questa stessa essenza, il cui modello è il canto gregoriano, che mi trovo prossimo al silenzio, momento sacro. Il silenzio è fondamentale in musica: è la cosa che permette di prendere fiato da una frase all’altra o che suscita un momento drammatico, o ancora che viene fuori con la conclusione di un movimento o dell’opera, conclusione che musicisti, cantanti e pubblico vivono nello stesso momento. Mi sono sempre dato molto pensiero del silenzio. Non è semplicemente assenza di rumore.
Il protestantesimo, che ha preso le distanze dal sacro, non se ne allontana in musica, per lo meno nei secoli XVII e XVIII?Non è vero per quanto riguarda la musica d’organo, o le Passioni (a dispetto del loro carattere teatrale) o le cantate di Bach, comprese le cantate profane !È forse il momento di parlare del suo rapporto con Frank Martin, di cui lei ha interpretato e registrato Golgotha, un’opera molto importante, e che ha scritto per lei. Frank Martin, così fortemente segnato dallo spirito dell’ambiente ginevrino e riformato in cui è nato… Mi sento in perfetta consonanza con questa musica, che mi è assolutamente familiare: mi sarebbe piaciuto comporre come lui. Certo, questo figlio di pastore appartiene a un ambiente riformato emblematico. Ma non dimentichiamo che allo stesso tempo, rischiando di cozzare contro i genitori e la famiglia, si è nascosto, nel 1922, per comporre una Messa per doppio coro, cosa che ha celato per più di trent’anni ! D’altro canto frequentava volentieri i cattolici.Era semplicemente un uomo aperto…Diciamo che aveva delle buone tentazioni ! E che questa Messa è un capolavoro che non assomiglia a nessuna altra musica. È Frank Martin prima di Frank Martin. Di una grande ricchezza ritmica. Sembra difficile, ma non lo è. E tutti i cori la cantano: a Losanna, in Olanda, in Inghilterra… Mi hanno chiamato per dirigerla alla radio danese. Sempre spiritoso, il tenore Hugues Cuénod diceva di lui: “Sa, non mi piace questa musica. Le dirò addirittura che la trovo un po’ malsana. Io pecco perché amo peccare. Invece Martin pecca per poter gridare misericordia !” Ecco il protestante che si svela in questa frase.Lei è sensibile alla differenza che oppone le opere di musicisti cattolici attaccati alla liturgia e, diciamo, più impersonali, e quelle dei protestanti, più soggettive, spesso segnate dal pietismo? Più concretamente: i Vespri di Monteverdi, confrontati con certe cantate di Bach, così personali nel rapporto con Dio che con il loro “dolce Gesù” divengono sentimentali? Tali differenze la obbligano a modificare la sua interpretazione? Quando dirigo i grandi cori polifonici, un po’ eruditi, dell’Oratorio di Natale, questo non mi pone problemi perché si tratta della Bibbia. Non è la stessa cosa quando mi ritrovo davanti ai corali, quei corali pieni di commozione. Anche di rivolta, quando il credente, nella tale Passione, ha appena assistito alla flagellazione. Nondimeno questi corali, malgrado il tenore delle loro parole, assicurano un dolce equilibrio davanti alla verità, forte, talvolta dura, del racconto e dei grandi cori. Possono essere melensi nel testo, non lo sono altrettanto nella musica. Bach in qualche modo ha un po’ salvato il salvabile: non si appesantisce troppo il testo quando piace meno.Una questione di sensibilità, di epoca?Senza dubbio, e tuttavia questi pezzi hanno la loro importanza. Nelle Passioni i corali figurano, la maggior parte delle volte, a seguito delle parole di Gesù. Di più, Bach li ha trattati in maniera molto diversa. Nella Passione secondo Matteo ritorna cinque volte lo stesso corale, con armonie e bassi differenti, e con dei testi, un ambiente diverso. Che performance !
Cosa pensa del concerto: si tratta di una performance come un’altra, o piuttosto di una celebrazione – un termine a connotazione religiosa – che spiegherebbe la sua preferenza per la registrazione “live”?Io rimango assai fedele al concerto. È la magia dell’istante. Essendo il mio repertorio limitato alle opere che mi appassionano, dirigere in concerto è come dirigere quell’opera per l’ultima volta. Sono, se posso dire così, consumato da quei concerti, che sono unici ! Di più, ognuno di essi è diverso. D’altro canto, alla fine di certe esecuzioni, molti degli stessi coristi sono come trasportati: certi piangono, di gioia. Requiem, messe, Passioni sono per me dei momenti di eternità, sempre in relazione con la mia infanzia.Registrare a freddo, senza pubblico, con una molteplicità di riprese, produce tutt’altra atmosfera. È vero che da un certo numero di anni noi registriamo dei concerti che completiamo con delle sedute di riparazione, per riprendere questo o quel passaggio. Quanto al nostro ultimo CD, il Requiem di Gounod, è stato registrato in studio, per sedute. Ma in quel caso faccio in modo che le sedute stesse si sviluppino come un concerto, perché sono consacrate a un movimento intero: il Dies Irae di un Requiem, per esempio.Che ne pensa delle scelte del Vaticano II e della pratica del canto nelle nostre Chiese? Uso il plurale perché ho la sensazione che, in una confessione come nell’altra, non si è mai cantata così male la musica religiosa.Trovo che la Chiesa cattolica abbia mancato al suo dovere, che è anche di natura pedagogica: deve insegnare a cantare, e non prendere uno che sbraita in un microfono per camuffare le voci della folla, una folla che non può che cantare male, dato che non le si insegna a cantare. Non ci si prende il tempo di ripetere i canti, anche quelli scadenti. Un pianista, accompagnatore di Jacques Thibault, Philippe Godard, che abitava a Losanna, mi ha detto un giorno: “Musicalmente, non soffro mai così tanto quanto durante la messa.” Una frase interessante, perché bisogna rendersi ben conto che la Chiesa cattolica ha avuto improvvisamente un atteggiamento negativo nei confronti dei musicisti che volevano continuare a cantare il gregoriano o la musica Rinascimentale. Per utilizzare la corale, ci si è messi a disperderla tra la folla per trascinarla. Perché volere a tutti i costi che i fedeli comprendano dei testi, ovviamente in latino, quando basterebbe lasciarsi andare a questa musica che ci innalza, alla quale ci si abbandona e che ci pone in uno stato di preghiera? Quando ascolto una bellissima musica, ho voglia di pensare al mio vicino, ho voglia di liberarmi di me stesso.Direbbe la stessa cosa del corale?Di certi, forse. Ma il corale mi affatica. È stato talmente assestato.Questo non dipende dal fatto che lo si è troppo scandito, nella tradizione riformata, mentre anch’esso ha un fraseggio?Musicalmente, è vero.Altro elemento importante, che forse è stato dimenticato: il rapporto affettivo che i credenti possono avere con certe musiche, di certi canti – inni o corali. C’è, presso voi cattolici, il retaggio del gregoriano, come presso di noi c’è un certo numero di inni ai quali la gente era attaccata e che o sono spariti dai salteri o hanno cambiato parole… È un fatto: molti fedeli si ricordano ancora delle melodie che hanno cantato dai tempi dell’infanzia. Penso a quel Tantum ergo sacramentum, che amavo tanto da bambino, al Corpus Domini. Poi ci sarebbero altre musiche estremamente importanti per noi, e che sono state abbandonate a vantaggio di inni spesso pochissimo musicali.
Nella produzione post-vaticana ci sono solo musiche scadenti?Non direi. Alcune meritano di rimanere, ma è una raccolta estremamente ridotta.“La musica è una metafisica” avrebbe scritto Vladimir Jankélévitch. Se ho capito bene, la musica presterebbe ciò che ha di metafisico alla religione, più che emanarne. Come se religione e musica fossero due realtà sorelle. Che ne pensa?La musica – quella buona ! – può effettivamente porci in uno stato di preghiera, di infinito, e questa cosa si può vivere durante un concerto tanto quanto in chiesa – al culto come alla messa.Cosa che spiegherebbe, forse, l’infatuazione incredibile, nella nostra epoca, per i concerti, sotto tutte le forme…Assolutamente. Come se si andasse per cercarvi la trascendenza.Michel Corboz Dalla Gruyère a Tokyo… Nato il 14 febbraio 1934 a Marsens, nel cantone di Friburgo (Svizzera), questo figlio di fornaio si vede destinato a una carriera di istitutore e, a questo titolo, persegue una approfondita formazione musicale. Preso sotto l’ala dello zio, André Corboz, segue il curriculum della Scuola normale di Friburgo: organo, canto – è un eccellente baritono – composizione saranno completati, più tardi, da dei corsi di direzione con Hans Haug a Losanna e Paul Van Kempen a Siena.

Nominato istitutore a Losanna, a vent’anni, vi delinea la sua carriera. Dà vita a dei concerti con l’organista Dante Granato e qualche cantante professionista, concerti da cui nascerà, nel 1961, l’Ensemble vocale di Losanna, che decolla grazie ai Premi riportati ai concorsi polifonici di Arezzo (1963) e di Tours (1964). Ma è soprattutto il Festival europeo delle Giovani corali, nel 1964 a Nevers, che lancerà l’ensemble e il suo direttore nell’arena internazionale: dopo aver ascoltato l’Ensemble in una sala interna di un caffè affumicato, il Direttore artistico della casa discografica Erato, Michel Garcin, entusiasta, propone a Corboz di incidere un primo disco (Ingegneri-Monteverdi), subito seguito da un Alessandro Scarlatti. Il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi (1967), la Selva Morale (1967-69), poi l’Orfeo di Monteverdi rivelano il talento di Corboz al pubblico internazionale: molti prestigiosi premi ricompensano un lavoro che gli permetterà di esplorare un repertorio sempre più vasto, dal momento che il musicista oggi conta circa 130 registrazioni per diverse case discografiche (Erato, Cascavelle, Aria-Fnac etc.) sia con il suo ensemble che con il Coro e l’Orchestra della Fondazione Gulbenkian di Lisbona, che dirige dal 1969. Ultimo nato di questa produzione: la Messa da Requiem di Gounod (Mirare).

Direttore invitato di numerose formazioni (Nuova Orchestra filarmonica di Radio France, Ensemble orchestrale di Parigi, Orchestra della Radio danese, Orchestra della Svizzera romanda, Orchestra da Camera di Losanna…) effettua numerosissime tourné (Israele, Argentina, Giappone) e partecipa alle Folles Journées a Nantes, Libona, Varsavia e Tokyo.

Ha consacrato una parte della sua attività all’insegnamento della direzione corale al Conservatorio di Ginevra. Michel Corboz festeggia quest’anno i cinquanta anni del suo Ensemble vocale.

Don

Pour faire un don, suivez ce lien

À propos Évangile et liberté

.Evangile-et-liberte@evangile-et-liberte.net'

Laisser un commentaire

Ce site utilise Akismet pour réduire les indésirables. En savoir plus sur la façon dont les données de vos commentaires sont traitées.

En savoir plus sur Évangile et Liberté

Abonnez-vous pour poursuivre la lecture et avoir accès à l’ensemble des archives.

Continuer la lecture