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La musica e il culto

Il cattolicesimo si sviluppa globalmente sotto forma di teologia sacerdotale che istituisce la Chiesa, il suo clero, o ancora l’eucarestia, come altrettanti elementi che pretendono di partecipare del corpo medesimo del Cristo incarnato, un Cristo che si renderebbe visibile mediato da questi diversi elementi. Il protestantesimo, quanto a lui, si sviluppa sotto forma di teologia più profetica che rende secondaria ogni forma di istituzione e mediazione. Sottolinea il primato dell’evento di una parola altra, che viene liberamente a noi e che ci afferra più che farsi afferrare da noi. Si è spesso detto che là dove il cattolicesimo valorizza il vedere, e affida alla Chiesa il compito di portare la Rivelazione, il protestantesimo dà a intendere, e riconosce nella sola parola di Dio la possibilità di essere afferrati dalla verità dell’Evangelo. La musica va precisamente nel senso, più astratto che materiale, dell’affrancamento di Dio da tutto ciò che pretenderebbe di alienarselo.

Il canto e la musica contribuiscono, durante il culto, a trasformarci in maniera creativa.

Che sia all’unisono, antifonale o polifonico, il canto rafforza la dimensione comunitaria dell’assemblea. Questa si cimenta, è avvinta, nella stessa attività e forma allora una medesima composizione attraverso una partitura comune. La comunità non è più la semplice somma di esseri isolati gli uni dagli altri, essa raccoglie degli uomini e delle donne dando loro una stessa voce, unendoli in uno stesso respiro. Attraverso il suo canto la Chiesa testimonia della possibilità di fare comunità, di condivisioni e armonie umane. Canto e musica ci iscrivono in una filiazione particolare, ci pongono all’unisono con altre voci, quelle di ieri e quelle di oggi, e vibrano attraverso variazioni, modulazioni, accentuazioni variate.

Stimolando le nostre capacità auditive, animando la nostra sensibilità, acuendo anche le nostre capacità di interpretazione, la musica ci permette ugualmente di ascoltare il mondo in modo diverso, di ascoltarlo nella sua propria musicalità. Essa contribuisce così ad abbellire il mondo e il nostro rapporto con la realtà. Richiamiamo qui dei discorsi di Karl Barth “indirizzati” a Mozart: “Ogni volta che la ascolto mi sento trasportato sulla soglia di un mondo bello e ordinato […]. Con la sua dialettica musicale nelle orecchie, si può restare giovani e invecchiare e riposare, gioire e affliggersi; in una parola: vivere. […] La sua musica è veramente di aiuto.” (Karl Barth, Mozart)

La musica e il canto ci possono anche trasformare, aprendoci alla possibilità di emozioni inattese e di nuovi stupori. Ambedue offrono a ciascuno la possibilità di essere afferrati da una esperienza che supera le contraddizioni e le ambiguità profonde della vita. Ambedue ci liberano dalle nostre alienazioni e dalle nostre oscurità interiori, e ci aprono, nello spazio di un tempo di grazia, alla possibilità di un altrimenti, più placido e gioioso. Beethoven diceva: “Colui che comprende la mia musica non potrà mai più conoscere la disgrazia.” Là dove la predicazione intende trasformare il soggetto attraverso l’irruzione di una parola vibrante, profetica, che stimola la sua responsabilità e lo chiama a prendere una decisione in favore dell’Evangelo, la musica e il canto trasformano il soggetto indipendentemente dal suo potere di decisione.

Là dove la predicazione ci esorta a consentire, a impegnarci, la musica ci trasporta altrove, nel registro dello spossessamento di sé, dell’approvazione incondizionata, della grazia. Rapendoci, afferrandoci, la musica e il canto ci mettono in profondo accordo con noi stessi e gli altri. Risvegliano in noi la nettissima sensazione di appartenere al mondo e a Dio. Si tratta di una esperienza intima che, per quanto sia fugace, ci attraversa in profondità. Essa ci libera dalla preoccupazione di noi stessi, e si vive allora come quel tempo di grazia, la noncuranza di sé che fa del culto un autentico momento di salvezza e non più un semplice discorso sulla salvezza. Non si tratta più di dire di sì all’Evangelo, di acconsentire a Dio e di impegnarsi. Si tratta di sentirsi afferrati, accolti, accettati. È nel tempo sospeso della decisione da prendere che la musica e il canto fanno del culto un’autentica liturgia della grazia.

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