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L’Ascensione?

 Se la dimensione mitologica dell’Ascensione ci impedisce di prenderla sul serio, non si vede perchè le altre feste cristiane non dovrebbero ugualmente essere abbandonate. Pensiamo a Natale con la nascita virginale, gli angeli (apparsi a Zacharia, a Maria, ai pastori), una stella che si sposta nel cielo per guidare dei magi; a Venerdì Santo con l’oscurità che si manifesta all’ora della crocifissione, il terremoto, le roccie che si spaccano, la tenda del tempio che si straccia in due pezzi, i sepolcri che si aprono i cui morti si fanno vedere a Gerusalemme. Pensiamo anche a Pasqua con un altro terremoto, un sasso rotolato da un angelo che vi sta seduto, il sepolcro vuoto, le numerose apparizioni di Gesù (a Maria di Magdala, a Tommaso, a due poi undici discepoli in presenza dei quali mangia pesce o passa attraverso porte chiuse a chiave). Altrettanti racconti la cui dimensione mitologica dovrebbe anche’essa proibirci di festeggiare questi avvenimenti « sospetti ». Che dire poi del gran rumore e delle lingue di fuoco che scendono sulla testa dei credenti radunati a Gerusalemme per la Pentecoste?

Non è giusto rendere la nostra fede solidale del modello, dei concetti e dei contesti culturali nei quali si è colata. Questo modello in quanto tale non ha del resto niente di specificamente evangelico o cristiano; corrisponde a una visione del mondo che non è più la nostra. Non è il caso di rigettare questi passi biblici sotto il pretesto che si trovano in contraddizione con l’insegnamento della scienza di oggi. Togliere dalla Bibia ciò che è contrario alla nostra visione attuale dell’universo, espurgarla o censurarla nel nome della ragione significa sminuirla sempre di più. Non si tratta tanto di capire ciò che dice il testo ma piuttosto ciò che vuol dire e può ancora dirci interpellandoci nell’ordine della fede. Un testo biblico inserito in una visione del mondo superata può contenere un significato che non lo è per niente.
Guardare verso il cielo? Si possono moltiplicare i significati di questo elevare Gesù nel cielo considerandolo sotto l’angolo di diverse visioni in tensione, per esempio presenza e assenza, terrestre e celeste, visibile e invisibile, partenza e ritorno, immobilità e movimento.

Una scelta frequentissima si ispira alla epistola ai Colossesi: « Cercate le cose di sopra dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Abbiate l’animo alle cose di sopra, non a quelle che sono sulla terra » (3,1-2). Ma quel testo, fuori dal suo contesto, può portarci a uno spiritualismo disincarnato, in una specie di alienazione religiosa che privilegia il cielo allo scapito della terra, l’eterno allo scapito della storia, le anime allo scapito dei corpi; sarebbe una visione molto esclusiva, in flagrante contrraddizione col cristianesimo che è per eccellenza una religione del’incarnazione. La nostra fede, come lo sottolineava volentieri Albert Schweizer, è fatta di attacamento e di distacco, di etica e di mistica: attacamento espresso dalla carità, la giustizia e l’amore, e distacco perchè siamo orientati verso il Regno di Dio e una speranza attiva che ci anima sulla terra alla quale non abbiamo da essere puramente e semplicemente assoggettati.

Secondo un commentatore, questo passo dell’epistola ai Colossesi non indica « una fuga lungi dalle realtà del mondo o una etica utopica impraticabile » (Jean-Noël Aletti, S.J., Commentaire de l’épître aux Colossiens, Gabalda, 1993). Una parola piena di senso, che suona come un avvertimento, si legge chiaramente negli Atti degli Apostoli: « Perchè state a guardare verso il cielo? » (1,11).

Con tutto il simbolismo contenuto nella parola « cielo » in questa salita di Gesù al cielo, sarà meglio scegliere di considerare che Gesù ci scappa, non è più nel nostro potere. Non ci può essere manomissione nostra su Gesù o su Dio. Dio prima di tutto, inteso quale Trascendenza, ci resta inaccessibile, e non possiamo rinchiuderlo nelle nostre parole o definizioni, siano esse giustissime e ortodosse al massimo. Dio ci supera infinitamente.
Gesù non è nel pane o nel vino della CenaL’Ascensione di Gesù è stata usata dai Riformatori Zwingli e Calvino per contestare la presenza reale, materiale, di Gesù nel sacramento dela Cena. E’ un significato decisivo da conservare, segondo loro. Se Gesù è nel cielo, non può essere simultaneamente e materialmente presente nel pane e nel vino. Questo punto importante vedrà opporsi vivacement Zwingli, riformatore di Zurigo, e Lutero. Il punto di accordo in materia tra i protestanti riformati, evangelici e luterani resta il rifiuto categorico del sacrifizio della messa. Le controversie tra protestanti e cattolici gireranno a lungo attorno al dissenso, centrale, sulla Cena. Vi è a questo proposito, e conseguentemente nell’ascolto fedele dei racconti dell’Ascensione, un punto focale e determinante per la sua comprensione.

Quando parla della presenza del corpo di Cristo « nella cena » nella sua Esposizione della fede (Expositio fidei, 1531), Zwingli stimmatizza l’errore di chi pretende che il corpo di Cristo ci sia dato nei segni del pane e del vino. Egli scrive che « il corpo di Cristo, dal momento che sale in cielo, non è più in questo mondo ». D’altra parte, quando Gesù dichiara che « questo è il mio corpo », il segno dato è quello del suo corpo mortale; mangiarlo in quanto tale sarebbe oggi completamente « irragionevole », poichè riconoscere che Gesù è nel cielo significa riconoscere che possiede oramai un corpo « immortale e incorruttibile », che non possiamo mangiare. Mangiare un corpo mortale e della carne umana non è forse, chiede Zwingli, qualche cosa di « crudele, selvaggio e brutale »? (vedasi in proposito Huldrych Zwingli, La foi réformée, les Bergers et les Mages, 2000, introduzione di André Gounelle).
L’Ascension e NataleLa tradizione ortodossa graca o russa ci offre un altro modo di capire l’Ascensione. Si tratta di inserire l’Ascensione in una simmetria e un parallelismo che vanno da Natale all’Ascensione, Pasqua essendo allora al centro di questa prospettiva.

Si può dire simbolicamente che a Natale Dio in Gesù scende verso l’uomo; all’Ascensione, in Gesù è l’uomo ad essere innalzato verso Dio. Vi è in questo modo, attraverso il percorso degli evangeli una umanizzazione di Dio e una divinizzazione dell’uomo. Bisogna che Dio nasca nell’uomo e l’uomo in Dio. Incarnazione divina e esaltazione umana incorniciano così gli evangeli. Dio è diventato umano affinchè l’uomo potesse diventare divino.

Conviene quindi abandonare una visione che schiaccia l’uomo sotto il peso della divinità e porta finalmente a credere che Dio è tutto e noi niente. Non si può, in Gesù, ridurre l’uomo al nulla della sua condizione mortale e peccatrice. Dio non diventa più grande alla misura del nostro abbassamento. Egli non ha bisogno di schiacciarci per essere pienamente Dio. L’Ascensione diventa così il magnifico fondamento di un umanesimo cristico e cristiano. In Gesù Dio non esiste senza l’uomo, ne l’uomo senza Dio.

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