Del resto a quel tempo non si festeggiava la nascita di una persona ma la sua morte; la Bibia contiene due soli esempi (contro-esempi) di un tale anniversario: Faraone (Gen. 40,20) e Erode (Mat. 14,6), l’uno e l’altro tristi ricordi.
Se Natale non è stato fissato tenendo conto del solstizio d’inverno (che del resto non è fissato al 25), pare chiaro che la tradizione cristiana abbia fatto ampio uso di questo tema nella sua elaborazione di Natale mettendo in rilievo, ieri come oggi, il simbolismo di Gesù Luce del mondo (Giov. 8,12). Col solstizio i giorni si allungano, il sole trionfa della notte. Natale esprime questa vittoria. È la festa della luce per eccellenza in un momento dell’anno, d’inverno (nell’emisfero nord perlomeno) in cui siamo stanchi, magari depressi, di queste notti troppo lunghe. Così si spiega in gran parte il successo di Natale. Attraverso la notte del 24 al 25 (con la « messa di mezzanotte »), Natale è la tappa che ci guida dalle tenebre fino al giorno. Un rito di passaggio, ecco cos’è la festa di Natale. E questo non si può tradurre meglio che con una nascita. Natale è diventato naturalissimamente la festa di Gesù bambino, poi di tutti i bambini, e più sottilmente per gli adulti, dei bambini che sono stati. Eppoi, altro passaggio, quello di un anno all’altro col 31 dicembre che arriva una settimana dopo. Natale è una festa religiosa e di famiglia, il primo di gennaio è per conto suo una festa più profana vissuta tra amici. Bella occasione di non separare sacro e profano!
Stando così le cose, a molti rincresce che con il solstizio, le cità illuminate, i regali, i presepi, i pasti sovrabbondanti, l’albero, il Babbo Natale, e sovento l’oblio del senso evangelico di questa festa, Natale sia stato sovrastato da elementi estranei alla sua realtà profonda. Ci si lamenta allora di questo degrado e della perdita del suo significato originale.
I chierici stimmatizzeranno una volta di più, con una reazione settaria, purista, vedi elitistica, la religione popolare, come se questa festa non potesse appartenera che ai soli veri cristiani. Quali veri cristiani, poi? Natale è molto popolare, è festeggiato da tutti, cristiani e non cristiani. Conviene forse lamentarsene e deplorarlo? Quando una celebrazione esce dalle capelle e dalle sagrestie, si fa strada nelle piazze e conquista le folle, si grida allo scandalo e si lanciano fulmini? Sono forse da preferire i banchi e le chiese vuote? Per una volta che le chiese sono piene e che la Chiesa, pronta a colpevolizzare il mondo, viene percepita come quella che ci apre le porte della festa e non del giudizio o della condanna, non sarebbe ora di rallegrarsi?
Le ragioni del successo di Natale superano di molto il puro e semplice annuncio della nascita di Gesù sulla terra. Altre ragioni di ordine psico-sociologico contribuiscono fortemente a tale buona fortuna. Conviene certo evangelizzare il religioso, con delicatezza e senza brutalità. A sentire Wilfred Monod, l’istinto religioso e quello che più di tutti ha bisogno di essere evangelizzato.
Ciò detto, evviva la festa (di Natale)! Non dimentichiamo che la prima manifestazione pubblica di Gesù, secondo il vangelo di Giovanni, consiste nel partecipare a una festa: si rende alla nozze di Cana in Galilea, dove cambia l’acqua in vino (e non il contrario!), e che la prima parola della sua predica pubblica, secondo il vangelo di Matteo, è « beati »! Allora Felice Natale! L.G.
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