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Al principio era il Verbo

 Se lo si intende come un’interpretazione realistica, con varie gradazioni, del primo capitolo della Genesi, l’impasse è assicurata. Dagli albori delle scienze moderne, l’idea che l’universo e ciò che esso contiene siano stati fabbricati da un’entità divina non smette di perdere terreno. I teologi hanno un bell’inventare scappatoie sofisticate, dal concordismo all’Intelligent Design, questi tentativi sono destinati allo scacco. La creazione così definita fa la figura di una mitologia desueta. Questa debolezza è del resto largamente spuntata dalle argomentazioni atee.

Affermiamo una volta per tutte che la Bibbia non è un libro di scienze naturali. Non contiene alcuna informazione utilizzabile sulla storia o la struttura dell’universo. Non è più possibile opporla, anche minimamente, ai vertiginosi progressi della ricerca scientifica, a rischio di ridurla in pezzi.

Di conseguenza, di cosa si tratta nel primo capitolo della Genesi? La risposta potrebbe essere: dell’emergenza di una parola. Per tutta la lunghezza del capitolo, l’azione di Dio consiste nel nominare. Nel primo capitolo della Genesi Dio dice e non fa altro che dire. Tutto passa per una parola che, in tappe successive, organizza e mette ordine in un universo ancora sottomesso alla confusione e all’indistinto. “ La terra era un tohu-bohu “ ( Genesi 1,2 ), l’espressione ebraica è difficilmente traducibile, ma si capisce immediatamente il suo significato: confusione indistinta. All’inizio il tohu-bohu c’è già, come un dato confuso e indistinto che attende che il linguaggio gli dia un nome. La confusione originaria è in attesa di una parola organizzatrice destinata a donare senso a questa confusione. È veramente un bene che attraverso i numerosi detti di Dio menzionati nella prima pagina della Bibbia appaia progressivamente una coerenza del mondo, la coerenza globale di un teatro sulla scena del quale gli esseri umani scriveranno la loro storia.

Tutto questo si appoggia a una concezione della parola che noi abbiamo perduta, per la quale la parola è più di un semplice utensile o di un banale mezzo di classificazione. Dio dice e le cose sono. La parola dona l’essere a ciò che essa designa. Paolo usa, a questo proposito, un’espressione sorprendente: “ Il Dio che chiama le cose che non sono, come se fossero…” ( Romani 4,17 ) La parola cela un’autentica forza creatrice, ecco perché gli autori biblici accordano tanta importanza a concetti come la blasfemia, l’invocazione, la benedizione o la maledizione.

Concezione superata?

Prendiamo l’esempio del segreto. Quando un segreto è pubblicamente rivelato, la realtà percepita fino a quel momento si trasforma completamente. Si fa luce e il paesaggio è diverso.

Scivoliamo nel registro sentimentale. Dire “ Ti amo “ a qualcuno può cambiare totalmente la realtà della mia relazione con lui/lei e cambiare definitivamente la mia propria realtà.

Pensiamo ancora alla psicanalisi, che mette delle parole sul tohu-bohu interiore dell’analizzato per dare una coerenza alla sua vita, di modo che ne divenga l’attore.

Oggi come ieri, la parola trasforma nominando. Ora, perché il racconto biblico enuncia questa parola inaugurale?Per innestare la dinamica di una doppia relazione.

La parola divina istituisce da una parte la relazione di alterità spirituale tra Dio e l’uomo attraverso la quale possono parlarsi. Essa istituisce d’altra parte la relazione di alterità etica tra gli uomini, attraverso la quale essi devono vivere insieme. Alla fine, la creazione potrebbe ben avere, al suo cuore, il prossimo umano e il prossimo divino.

La parola, infine, costituisce la rassomiglianza tra Dio e l’uomo. Dio si riposa il settimo giorno. A partire da questo giorno, che è il nostro giorno, tocca a noi proseguire la sua opera dando senso al mondo, e così dando senso alla nostra avventura.

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