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Cosa vuol dire “cristo”?

Essere cristiani significa avere la convinzione che Gesù è il cristo. André Gounelle sviluppa una riflessione sul senso del termine “cristo” proponendone una possibile interpretazione, senza pretendere che sia l’unica vera, né che sia del tutto soddisfacente.

Di André Gounelle*

Traduzione di Giacomo Tessaro

* André Gounelle è pastore, professore onorario all’Istituto protestante di teologia di Montpellier, è autore di numerosi libri e collaboratore di Évangile et Liberté da 50 anni.

Chi è Gesù? A questa domanda sono state date moltissime risposte. Alcuni vedono in lui un saggio o un filosofo, i cui insegnamenti hanno influenzato il pensiero e il comportamento di numerosi esseri umani; altri lo ritengono un profeta, qualcuno che parla a nome di Dio e ne trasmette i messaggi; ci sono stati numerosi profeti e Gesù è uno dei più grandi: è ciò che pensa l’islam. Talvolta si è parlato di lui come di un rivoluzionario, un utopista o un romantico. Le Chiese lo considerano spesso Dio o uomo-Dio, un’affermazione che solleva immense difficoltà e pone più problemi di quanti non ne risolva.

Per il Nuovo Testamento Gesù è il cristo, come dichiarato da Pietro in un episodio centrale dei vangeli. “Cristo” non è un nome proprio come crede qualcuno, bensì un titolo. Ma cosa significa? A prima vista bisognerebbe chiederlo all’Antico (o Primo) Testamento: “cristo”, infatti, è la traduzione greca di una parola ebraica, traslitterata in italiano con “messia”, che significa “unto”; era uso infatti ungere, versando dell’olio sulla testa, chi era stato scelto per compiere una missione importante o per esercitare importantissime responsabilità.

A dire il vero, però, gli scritti dell’Antico Testamento ci illuminano solo parzialmente, in quanto mostrano sì che la parola “cristo” si collega a una funzione, ma non la indicano con precisione. Descrivono il cristo a volte come un nuovo Mosè (qualcuno che proclama o ricorda la legge di Dio), a volte come un nuovo Davide (un capo politico), a volte come un nuovo Elia (un grande profeta), a volte come una figura apocalittica che apparirà alla fine dei tempi, etc. Nella Bibbia ebraica troviamo, secondo l’espressione dello studioso americano Gregory J. Riley, “numerosi Cristi” (numerose immagini del Cristo), difficili da unificare. Stessa cosa con il Nuovo Testamento. Applicando il titolo di “cristo” a Gesù i cristiani ne hanno modificato e ridefinito il senso, ma non in maniera uniforme, e tanto nel Nuovo Testamento quanto nella storia del cristianesimo incontriamo un grande ventaglio di “cristologie” (vale a dire, concezioni del cristo).

Inoltre, non dovremmo tanto indagare cos’era il cristo per gli Ebrei del I secolo, fossero o meno discepoli di Gesù, quanto stabilire cosa significa oggi per noi, cristiani del XXI secolo. In continuità con la Bibbia e nella linea del Nuovo Testamento, ma senza ripeterne obbligatoriamente i termini e le espressioni, dobbiamo formulare alla nostra maniera cosa ci offre Gesù: in che modo sperimentiamo la sua presenza e la sua azione nella nostra esistenza? Anche in questo ambito constatiamo una grande diversità. Che senso dare alla parola “cristo”? Non esiste una risposta unica: anche se quella che noi proponiamo ci sta a cuore e la riteniamo vera, dobbiamo ammettere che esistono altre concezioni, le quali peraltro possono completarsi e correggersi l’una con l’altra; dobbiamo rispettarle, ma abbiamo anche il diritto di criticarle, di mostrarne i pregi e i difetti, senza pretendere che la nostra sia perfetta o l’unica vera.

Nel mio libro Parler du Christ (Parlare di Cristo, Van Dieren, 2003) ho esposto in modo dettagliato e argomentato la mia personale risposta (che non ha nulla di particolarmente originale); la riassumo in due punti:

1. La parola “cristo” designa, a mio avviso, prima di tutto un avvenimento (il Nuovo Testamento parla di “kairos”), ovvero l’incontro con Dio. Se si preferisce si può utilizzare, al posto di “Dio”, un’altra parola per designare la realtà o verità ultima, il cui nome è al di sopra di ogni nome e che il nostro linguaggio può evocare, ma mai catturare.

Quando incontriamo Dio, meglio, quando Dio si manifesta a noi attraverso una persona, una cosa, un gesto, allora si produce l’avvenimento “cristo”. Dio non si manifesta semplicemente per non cadere nell’oblio, perché noi lo percepiamo o ci ricordiamo della sua esistenza, si manifesta perché le cose si muovano e le persone cambino. Dio è un “dinamismo” (come afferma la teologia del processo) che mira a trasformarci e cerca di istradare il mondo in vie di giustizia e di pace. Il cristo è un atto di Dio che entra in relazione con degli esseri umani e porta il nuovo, in loro e attorno a loro.

Pietro dichiara che Gesù è il cristo perché vede in lui l’atto più importante e l’intervento più significativo di Dio nella storia umana, esprimendo così una convinzione e una esperienza personali. Possiamo avere delle manifestazioni autentiche di Dio al di fuori di Gesù, per esempio nell’Antico Testamento e in altre tradizioni religiose, spirituali e filosofiche. Senza negare o rifiutare tale possibilità, per i cristiani, come per Pietro, riconoscere in Gesù il cristo significa affermare la propria convinzione che Dio lo si incontra, e agisce in maniera decisiva, nell’evangelo.

2. La parola “cristo” indica un avvenimento, ma si applica anche a una persona, a un essere umano in carne e ossa, vissuto nel primo secolo in Palestina, che si chiamava Gesù. Dichiarare che Gesù è il cristo significa prima di tutto che in lui Dio si avvicina a noi e agisce in noi; in secondo luogo, che egli è l’incarnazione di quell’umanità che gli interventi di Dio mirano a suscitare. Cristo designa sia l’atto di Dio, sia il risultato a cui tale atto mira, vale a dire un essere umano che sia veramente “a immagine e somiglianza” di Dio. A mio avviso, l’espressione di Genesi 1 non descrive ciò che l’uomo è, bensì ciò a cui è chiamato, ovvero vivere in armonia con i suoi simili, con se stesso e con la natura, amare e aiutare il prossimo, sviluppare una verità interiore e la giustizia nelle relazioni.

Gesù è il cristo perché è un uomo autenticamente umano, mentre noi siamo spesso e volentieri disumani. Il vangelo di Giovanni racconta che Pilato, mostrando Gesù alla folla, disse “Ecco l’uomo”; molti commentatori cristiani spiegano come, senza esserne cosciente, Pilato esprima una profonda verità: Gesù è l’uomo autentico e in lui non c’è alcuna disumanità; è l’esempio e la figura di ciò che dovremmo essere e di ciò che Dio vuole fare di noi.

L’uomo autentico, per me, non è un’icona o una statua immobile nella sua perfezione, né un ideale metafisico inscritto in un cielo immutabile; non è un qualcosa che non ha più bisogno di agire, perché avrebbe raggiunto il suo scopo. Nei vangeli Gesù si sposta continuamente, cambia, viaggia, impara, scopre, lotta con se stesso, modifica i suoi atteggiamenti. Gesù è “via, cammino”, come dice il vangelo di Giovanni; non propone regole o leggi statiche, ma trasmette un’esigenza dinamica, quella di andare sempre più in là. L’uomo autentico non è esente da difetti e debolezze, e, in mezzo a sconfitte e vittorie, rimane un viaggiatore; va a tastoni, esplora e avanza sulle strade della vita, facendosi ispirare dallo spirito di Dio che agisce in lui.

Un avvenimento, quello dell’incontro con Dio, un essere umano conforme alla volontà di Dio: ecco ciò che rappresenta Gesù per me, che ai miei occhi fa di lui il cristo. Egli è il cristo nella misura in cui orienta, anima e umanizza le esistenze, la mia e quella di molti altri.

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À propos Gilles

a été pasteur à Amsterdam et en Région parisienne. Il s’est toujours intéressé à la présence de l’Évangile aux marges de l’Église. Il anime depuis 17 ans le site Internet Protestants dans la ville.

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