Di Louis Pernot
pastore della Chiesa Protestante Unita di Francia a Parigi, dove anche insegna all’Istituto Protestante di Teologia.
Traduzione di Giacomo Tessaro
Il cristianesimo insiste molto sul fatto che essere cristiani vuol dire credere nella resurrezione di Cristo. Ma in che modo è resuscitato? A questa domanda si danno risposte molto diverse: alcuni credono a una resurrezione del tutto corporale: Gesù ritorna in vita, si toglie le bende, fa rotolare la pietra e appare ai discepoli; altri, al contrario, diranno che i racconti biblici non sono altro che l’espressione immaginosa dell’esperienza spirituale dei discepoli: Gesù è veramente morto fisicamente, ma essi scoprono che tutto ciò che ha detto, fatto e trasmesso rimane valido, che è spiritualmente presente con loro per accompagnarli su un nuovo cammino.
Nella Bibbia stessa troviamo ambedue le tendenze: alcuni testi vogliono farci credere a un tipo di presenza del tutto materiale: vediamo così Gesù che mangia del pesce assieme ai suoi discepoli (Luca 24:36-43). Altri presentano il Gesù resuscitato sotto un aspetto più spirituale: non viene riconosciuto, passa attraverso i muri, si trova in due luoghi diversi nello stesso momento. Nello stesso senso, registriamo che il Cristo resuscitato appare solamente ai credenti: non si vendica presentandosi a Pilato o ai capi dei Giudei per confonderli. La sua presenza non viene mostrata come oggettiva, bensì come un’esperienza che si vive nella fede.
L’aspetto soggettivo della resurrezione di Cristo è confermato dalla mancanza di coerenza tra i racconti di apparizioni dei vangeli. Sul ministero di Gesù molti sono i passi paralleli, ma quando si tratta delle apparizioni i racconti divergono molto. La modalità di presenza del resuscitato non è oggettiva, è un’esperienza personale.
In Paolo non c’è nulla di corporale. Nel bel capitolo 15 della prima lettera ai Corinzi insiste sull’importanza della resurrezione di Gesù dicendo “se Cristo non è stato risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione”; parla delle apparizioni a Pietro e ai Dodici ma conclude dicendo che Cristo è apparso anche a lui alla stessa maniera. Secondo lo schema di Luca, però, Gesù non avrebbe dovuto apparirgli: per questo evangelista Gesù resuscita il terzo giorno, poi appare fino a quaranta giorni dopo la sua morte: poi il suo corpo viene elevato in Cielo (Ascensione) e non appare più, e dieci giorni dopo è Pentecoste. Ora, Paolo si è convertito molto più tardi. L’unico avvenimento a cui può fare riferimento è la sua vocazione sul cammino per Damasco, esperienza raccontata tre volte nella Bibbia. Si parla di una luce, di una voce, a volte i compagni di viaggio vedono la luce ma non sentono la voce, a volte il contrario, ma in ogni caso non c’è niente da vedere, nessun corpo fisico! Per cui, in Paolo, ciò che lui presenta come un’apparizione a lui rivolta non è altro che la sua esperienza di conversione.
D’altra parte, lo studio storico dei testi mostra come diversi racconti di resurrezione siano aggiunte tardive. La pesca miracolosa di Giovanni negli altri vangeli avviene prima della morte di Cristo e in Marco vediamo le tracce di più chiuse alle quali è stato aggiunto ulteriore testo. L’unico avvenimento oggettivo che tutti i vangeli condividono, e con il quale probabilmente in origine terminavano, è la tomba vuota. I testimoni vanno alla tomba per adorare il corpo di Gesù e la trovano vuota. Il messaggio è chiaro: non bisogna cercare la presenza di Cristo in una tomba o in un cadavere, egli è “in cielo”, va cercato spiritualmente.
Poco importa cosa è avvenuto fisicamente al corpo di Gesù. Chi ama i miracoli può crederci, gli altri troveranno un indizio nella precauzione estrema (e dunque sospetta) che Matteo impiega per dire che non bisogna assolutamente pensare che i discepoli possano aver trafugato il cadavere per metterlo in un luogo più discreto, come una fossa comune, per evitare ogni tentativo morboso di adorazione delle reliquie.
Da tutto questo dobbiamo ricavare che i racconti delle apparizioni di Gesù sono da prendere con estrema precauzione, certamente non come dei rendiconti giornalistici di un avvenimento materiale e oggettivo. In ogni modo, noi non eravamo lì ed è impossibile sapere con certezza cosa sia successo. Ciò che è importante per noi oggi non è sapere come Gesù è apparso a questo o a quello duemila anni fa, ma in che modo può essere presente e vivo per noi oggi. Non dobbiamo infatti confondere “resurrezione” e “apparizione”: si può credere all’una senza credere all’altra. Possiamo credere che Gesù è resuscitato, che è vivente oggi, senza credere alla materialità delle apparizioni precedenti l’Ascensione. È anzi pericoloso assimilare le due cose, perché se la resurrezione si riduce alle apparizioni allora Gesù non è resuscitato per noi, in quanto oggigiorno non possiamo sperare di incontrare Gesù in carne e ossa all’angolo di una strada. Ma la buona novella dell’Evangelo è “Cristo è resuscitato”, “egli è vivo” e non “è stato risuscitato per quaranta giorni e ora non è più vivo fisicamente”. La buona novella della resurrezione consiste dunque, per noi oggi, nel sapere in che modo Cristo è ancora vivente. Su questo punto non c’è dubbio: Gesù è vivo solo e puramente in senso spirituale. Quando Gesù dice “Là dove due o tre saranno riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro” noi lo crediamo e lo viviamo, ma non è una presenza fisica. Il Cristo resuscitato di oggi è evidentemente puro spirito, che ci accompagna con il suo insegnamento, la sua buona novella, il suo amore, con lo spirito di Dio che era in lui, che lui ci ha dato e che ci accompagna.
Considerare le apparizioni dei fenomeni materiali svalorizza la stessa resurrezione di Cristo, ce la rende estranea, ci fa diventare gli spettatori di un avvenimento che è stato una buona novella per un pugno di primi cristiani, ma dal quale noi siamo esclusi: possiamo disporre solamente di una sorta di resurrezione di seconda categoria. Abbiamo di meglio da fare che rallegrarci per procura, in quanto spettatori di avvenimenti passati e compiuti: per esempio, leggere questi racconti come delle parabole, dei racconti immaginosi del modo nel quale possiamo, oggi, sperimentare il fatto che Cristo è sempre vivo, ci accompagna e ci fa vivere. Possiamo vedere nel racconto di Giovanni i discepoli stretti nella morsa della paura, come accade anche a noi, e Gesù che supera le loro chiusure per donare loro la pace e lo spirito, per inviarli in missione: è la nostra storia; o i pellegrini di Emmaus che camminano tristi, che scoprono poi di colpo che, contrariamente alle apparenze, Gesù camminava con loro, presente nelle loro “parole e ricerche insieme” su di lui. Se leggiamo spiritualmente questi passi, possiamo comprendere che parlano di noi e che attraverso di essi possiamo sperimentare la presenza del Cristo resuscitato.
È questa, del resto, la novella della resurrezione, che ci riporta alla tomba vuota: non c’è nessun corpo da vedere, la presenza di Cristo va scoperta in altro modo, non più come un corpo ma come uno spirito che dà la vita. Cristo ha attraversato la morte, fisicamente è morto ma la vita è più del corpo e ciò che in lui era spirituale è vivente per l’eternità. Non c’è dunque bisogno di attendere tre giorni perché Gesù resusciti: egli ha traversato la croce, lasciando dietro di sé nient’altro che una spoglia mortale, visibile e secondaria. Tre giorni, infatti, è il tempo che hanno impiegato i discepoli a capirlo.
Quanto al corpo di Cristo, possiamo trovarlo così: secondo Paolo noi stessi, noi credenti, diventiamo il corpo di Cristo, di cui egli è la testa, perché il corpo serve per agire concretamente nel mondo. I credenti divengono per Cristo le sue mani per agire, le sue braccia per abbracciare, la sua bocca per parlare, sono il corpo di cui egli è la testa: è quindi nel credente che Gesù resuscita corporalmente.
Pour faire un don, suivez ce lien