Di Raphaël Picon*
Traduzione di Giacomo Tessaro
Ci sono immagini di Dio che ci piacciono: quelle che hanno in sé un’idea di movimento, di creatività, di trasformazione; quelle che ci invitano a credere nel Dio che opera nell’abbellimento del mondo, che arricchisce le possibilità della realtà, che ci attrae verso un futuro migliore. Ci sono immagini di Dio, ancora più sottili, che ci piacciono ugualmente: quelle che evocano una certa instabilità, una liberazione dal nostro comfort, dal nostro status quo, dalla nostra inerzia. Abbiamo molte ragioni per giustificare l’attaccamento a questo Dio che associamo alla potenza creatrice: l’amore per la vita nel suo dinamismo, la passione per un Dio concepito come slancio vitale e forza di resistenza politica contro una certa dogmatizzazione del pensiero religioso. Ma un mondo reso così vivo da questo Dio del movimento potrebbe rivelarsi inabitabile se gli togliessimo tutti i benefici del Dio della stabilità. Cos’è Dio, infatti, se non l’equazione sempre improbabile di avventura e pace, movimento e stasi, creatività e radicamento? È proprio nel pieno dei nostri tormenti, quando tutto vacilla, che l’idea biblica della “rocca” ritrova la sua scintillante verità e le parole del Salmista il loro delizioso sapore: “Il SIGNORE è la mia rocca, la mia fortezza, il mio liberatore; il mio Dio, la mia rupe, in cui mi rifugio, il mio scudo, il mio potente salvatore, il mio alto rifugio” (Salmo 18:2). Magnifico! Dio perciò e ciò che in noi può essere “eterno”. Dio è ciò che fa sì che noi possiamo essere, ovvero avere un valore intrinseco, liberi da ogni movimento, da ogni progetto, da ogni realizzazione. Il mio “alto rifugio” diviene quindi quel Dio che sta al di là dell’animato e dell’inanimato, persino al di là di quello che egli stesso fa, al di là di un’esistenza guidata da lui, un dinamismo creatore. È a questo titolo che possiamo dire che Dio è un assoluto e che questo assoluto è liberazione. Ma prima dobbiamo decostruire l’immagine stessa della stabilità, per salvarla dal rischio della fissità mortale e poterla così ritrovare.
* Raphaël Picon insegna teologia pratica all’Istituto protestante di teologia di Parigi.
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