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I Riformatori e il matrimonio per tutti nel XVI secolo

Tuttavia, alla lettera, i Riformatori sono stati dei veri e propri campioni del matrimonio per tutti. Mi propongo di mostrare che non si tratta semplicemente di un gioco di parole, e che un giretto per il XVI secolo può dare materia per una riflessione sul tempo presente.

Forza, andiamo!

Riunione al municipio di Zurigo, 29 gennaio 1523. In quel momento Huldrych Zwingli, sacerdote predicatore della città, presenta davanti alle autorità del cantone 67 tesi per un dibattito pubblico, una “disputa”, in vista di una riforma della Chiesa, sul fondamento della Scrittura.

Tra le tesi presentate, questa:

“Tutto ciò che Dio ha permesso o non ha proibito è giusto. Ecco perché noi insegniamo che il matrimonio è buono per tutte le persone (allen menschen).”

Questa proposizione, apparentemente consensuale, era polemica. “Noi insegniamo”: sono dei contestatori che parlano, critici sulla regola del celibato ecclesiastico, sui comandamenti della Chiesa, sulla sua dottrina. La fonte luterana, dunque “eretica”, di questa tesi contestatrice era fuori dubbio: da qualche mese circolavano dei pamphlet venuti dalla Germania che trattavano questo argomento.

Molto rapidamente il matrimonio dei preti, assieme alla promozione del matrimonio, è diventato uno degli emblemi della Riforma protestante. Si trattava di una rottura con tutto un lato della dottrina e delle pratiche della Chiesa tradizionale e della costruzione di un nuovo modello di matrimonio, il matrimonio “buono per tutte le persone”. Questo modello positivo “universalista” si organizza attorno a due poli solo apparentemente in contraddizione: la santificazione del matrimonio da un lato e la sua desacralizzazione dall’altro.
La santificazione del matrimonio Riguardo al matrimonio, la dottrina della Chiesa nel XVI secolo resta ambivalente.

Da un lato considera il matrimonio, riservato ai laici, un’”opera della carne”, uno stato inferiore al modello della “perfezione cristiana”, lo stato religioso votato alla castità. Dall’altro riconosce dei vantaggi al matrimonio: esso è stato istituito da Dio in Paradiso, secondo il libro di Genesi (Gn 2) e reistituito da Cristo che cita Genesi (Mt 19); dopo il peccato originale è divenuto un “rimedio alla concupiscenza” secondo l’apostolo Paolo (1 Co 7), ma anche, secondo lo stesso apostolo (Ef 5), sacramento dell’unione di Cristo con la sua Chiesa; da cui un triplo “bene” secondo sant’Agostino: la procreazione (proles), la fedeltà tra gli sposi (fides), l’indissolubilità dell’unione di volontà e carne, che è sacramento (sacramentum).

Oltretutto, a partire dalla fine del XV secolo, si fa strada la critica alla vita monastica e a una certa promozione religiosa dei laici, delle “persone sposate”. Vi contribuisce Erasmo, in particolare con un’opera in odore di scandalo (Encomium matrimonii, 1518) in cui deride l’ideale di “verginità” della vita “religiosa” e loda il matrimonio, istituito da Dio “in principio”, “grande sacramento”, per di più delizioso e necessario al genere umano. I teologi di Lovanio aggrottano le ciglia. Erasmo fa finta di niente, sostenendo in sua difesa che si tratta di un semplice saggio di retorica.

Lutero invece, da gran professore di teologia qual è, religioso e sacerdote (ma scomunicato dal 1521) non tiene in conto le precauzioni dell’umanista. Dopo aver criticato i voti monastici Lutero pubblica, nel 1522, un piccolo trattato che ha per argomento “La vita coniugale”. Ne fa un sermone: Lutero predica la parola di Dio. In Genesi, subito dopo aver creato l’uomo, Dio dice: “Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che sia adatto a lui” (Gn 2,18). L’aiuto sarà Eva, tratta dalla costola di Adamo; al primo uomo e alla prima donna Dio dice: “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn 1,27). Questa parola, scrive Lutero, è più che un comandamento, è “un’opera divina che non tocca a noi impedire o trascurare, ma che è altrettanto necessaria del fatto che sono uomo”. Così è Dio che ha istituito il matrimonio, l’unione dell’uomo e della donna, e l’ha dichiarato “buono”. Questo ordine buono della Creazione non è stato rimesso in discussione dalla Caduta; non è divenuto un male minore, un semplice “rimedio al peccato” (è comunque anche quello, poiché canalizza gli straripamenti della sessualità naturale); rimane “lo stato che Dio ha istituito e nel quale ha posto la sua Parola e il suo beneplacito, che rendono sante, divine e preziose le opere, la vita stessa e le sofferenze di questo stato”.

Il matrimonio è buono in se stesso, nella sua banale quotidianità. Lutero si mette nei panni di un padre che prega in questi termini:

“O Dio! Poiché sono certo che tu mi hai fatto uomo e che è dal mio corpo che tu hai generato il bambino, so anche con certezza che questo ti piace sopra ogni cosa e ti confesso che non sono degno di cullare il neonato né di lavare i suoi pannolini, né di prendermi cura di lui e di sua madre…”

E commenta:

“Se un uomo si mettesse a lavare i pannolini o ad adempiere, a beneficio del suo bambino, a qualche altro compito spregevole, e se tutti si beffassero di lui e lo considerassero uno sciocco e un uomo effeminato, allora che egli agisca unicamente […] nella fede cristiana; dimmi mio caro, chi avrebbe qui più motivo di beffarsi dell’altro? Dio sorride con tutti gli angeli e tutte le creature, non perché un uomo lava i pannolini, ma perché lo fa nella fede…”
Lo stato coniugale: un ideale cristiano Per Lutero il matrimonio e la famiglia divengono modelli della “perfezione cristiana”: sono infatti il luogo della vera fede (altrimenti detta la fiducia nella Parola) e il compimento dell’opera divina della creazione, mentre i voti monastici e la regola del celibato, lungi dall’essere parola di Dio, non sono che invenzioni di uomini. Matrimonio e famiglia sono anche il luogo della vera purezza, della vera castità, contro la pseudocastità “delle suore e dei monaci”. Lutero sottolinea il rovesciamento operato nella gerarchia tradizionale delle condizioni di vita: “Ho voluto oppormi ai bestemmiatori che abbassano lo stato coniugale molto al di sotto dello stato di verginità… Agli occhi di Dio non si ha il diritto di porre nessuna condizione al di sopra di quella coniugale”. Spinge la sua audacia fino a porre la famiglia naturale, persino quella di una prostituta, al di sopra dello stato ecclesiastico.

Il trattato di Lutero “La vita coniugale” conobbe un successo folgorante. I suoi temi, come la polemica contro il voto di celibato, assieme alla lode del matrimonio, si ritrovano del resto presso i predicatori “evangelici” nell’Impero e in Svizzera negli ani 1520-1530 (in particolare in Zwingli, e nella Svizzera francese presso Guillaume Farel). Non si trattava solamente di discorsi.

Il 9 novembre 1523 Antoine Firn, di Haguenau, curato della parrocchia di san Tommaso a Strasburgo (che aveva una concubina, come la maggior parte dei suoi colleghi a Strasburgo) faceva celebrare il suo matrimonio nella cattedrale. Il curato Matthieu Zell pronunciò il sermone e terminò con questa esortazione:

“Caro Antoine, non avere timore, poiché sei beato di rompere, con questo atto, con l’Anticristo [la Chiesa romana che con i suoi divieti si oppone all’Evangelo]. Tu hai per te Dio e la sua Parola! Non ti inquietare dell’opinione degli uomini; uno biasima, l’altro loda. Non ti inquietare nemmeno di ciò che di penoso ti potrà accadere: ogni cosa tornerà a buon fine per te. Tu sarai espulso, sarai condannato a morire; né l’esilio né la morte possono nulla su di te: fai ciò che Dio ti ha ordinato di fare contro il suo nemico, contro l’Anticristo; non avere timore!”

Percepiamo la febbre escatologica, legata all’angoscia di quel momento di trasgressione pubblica della tradizione della Chiesa. Immaginiamo lo scandalo al vescovado.

In quest’epoca si moltiplicano i matrimoni pubblici di sacerdoti e religiosi, che divengono la modalità usuale di passaggio alla Riforma evangelica. Quei matrimoni sono il segnale concreto di un nuovo ordine del mondo cristiano, visibile a tutti, anche agli analfabeti. Molti laici che chiudono gli occhi sul concubinaggio dei preti sono scioccati da questa violazione inaudita di un ordine considerato sacro.

Tra questi laici ricordiamo Florimond de Raemond, un magistrato di Bordeaux che scrive verso il 1598 la storia dell’”eresia di questo secolo”, ovvero la Riforma protestante. Descrivendo dettagliatamente tutti gli orrori perpetrati dai Riformatori, egli consacra un intero capitolo al matrimonio di Lutero con una suora scappata dal convento. Più avanti descrive i mutamenti avvenuti in Svezia dopo l’arrivo dei predicatori luterani (negli anni 1530):

“Fu una strana mescolanza di matrimoni infami e incestuosi, che si vedevano ovunque, odiosi al Cielo e alla terra. Persone degne di fede di quel Paese hanno scritto che l’Arcivescovessa di Stoccolma, alla sua prima gravidanza, partorì un grande numero di rane, e che un’altra Sacerdotessa al posto di un bambino ebbe una scimmia…”

Il mondo all’incontrario!

A dire il vero, già attorno al 1530 la polemica contro il celibato ecclesiastico passa in secondo piano nei territori passati alla Riforma, ma la promozione del matrimonio per tutti non perde vigore, diffusa dai catechismi protestanti e dalla predicazione. Che la vita coniugale sia per tutti il modello della vita buona voluta da Dio, il “Grande catechismo” di Lutero, destinato i pastori e agli insegnanti, lo insegna in questi termini: “Il matrimonio è la condizione più universale, più nobile che sia diffusa in tutta la cristianità, se non nel mondo intero”.

Considerare il matrimonio come “la condizione più universale” vuol dire dissociarlo almeno in parte dalla Chiesa, desacramentalizzarlo, desacralizzarlo.
La desacralizzazione del matrimonioPur santificando il matrimonio, fondato sull’atto creatore di Dio, Lutero rifiuta di vedervi un sacramento. Fin dal 1520 ha fatto sua la critica di Erasmo a proposito del riferimento che tradizionalmente giustifica il sacramento del matrimonio, nell’epistola agli Efesini: “I due saranno una sola carne, ecco un grande sacramento” (Ef 5,31-32). Per lui come per l’umanista, a torto la Vulgata traduce il greco “mysterion” con “sacramentum”, e a torto i teologi hanno applicato la parola al matrimonio. Inoltre, ciò che secondo Lutero costituisce il sacramento è la promessa di grazia di Dio e un segno stabilito da Dio. Il matrimonio invece non possiede né una promessa di grazia né un segno stabilito da Dio. Regolati questi punti esegetici e teologici, riconosciamo, dice Lutero, che il matrimonio degli “infedeli” non è meno vero e meno santo di quello dei cristiani (sostenendo il contrario ci esporremmo “alle risate degli infedeli”).

Su questa base Bucero, il Riformatore di Strasburgo, ripensa l’istituzione del matrimonio servendosi delle categorie del diritto romano imperiale (a dire il vero riprese in buona parte dai canonisti, ma si tratta di ritornare alle fonti), visto come l’espressione del “diritto naturale”: il matrimonio non è un “contratto-sacramento” come sostengono i canonisti, ma molto semplicemente un “contratto tra un uomo e una donna, che consiste in una totale comunanza di vita in ogni cosa divina e umana”, sottinteso attraverso l’”affetto coniugale”, vale a dire un “ardente” “affetto e mutua carità”. Il matrimonio dei cristiani, il medesimo che Dio ha istituito alla Creazione per tutti gli uomini, è quindi il matrimonio monogamo basato sul mutuo consenso di un uomo e una donna e sulla coabitazione.

Lo zoccolo del diritto naturale (diritto romano), dichiarato conforme alla Scrittura, permette a Bucero e ai protestanti umanisti di tagliare corto ai tentativi marginali dei “radicali” di legittimare, Bibbia alla mano, forme estreme di “matrimonio per tutti”:

– la poligamia, che Berhard Rothmann, uno dei capi anabattisti di Münster, giustificava nel 1534; in una prospettiva di fine del mondo egli evidenziava, oltre all’esempio dei patriarchi, le parole di Genesi: “Crescete e moltiplicatevi”.

– la totale libertà sessuale, predicata da piccoli gruppi di libertini spirituali, in particolare nei Paesi Bassi.
Il matrimonio: “cosa politica e civile” L’opposizione dei Riformatori al matrimonio sacramento, contro tutta la tradizione della Chiesa almeno dal XII secolo, doveva scatenare i fulmini del Concilio di Trento contro gli “eretici” protestanti (nel 1547 poi nel 1563): il Concilio riconferma il matrimonio come sacramento e la competenza esclusiva della Chiesa sugli affari matrimoniali.

Capiamo bene come la desacramentalizzazione del matrimonio operata dai Riformatori fosse politicamente sensibile. Infatti una volta che il matrimonio non è più considerato come un sacramento, esso non riguarda più il diritto canonico né le giurisdizioni ecclesiastiche. Il suo fondamento, posto nella parola di Genesi, per l’umanità intera, lo fa rientrare nel campo degli “affari temporali”. Per Lutero, per Melantone, per i teologi e giuristi protestanti dell’Impero, il matrimonio è “cosa politica e civile”. Spetta alle autorità politiche legiferare sul matrimonio, sulle condizioni della formazione del legame e della sua dissoluzione. Spetta ai magistrati il compito di regolare i contenziosi del matrimonio.

Anche per Calvino a Ginevra la competenza dello Stato è di prammatica in materia di matrimonio (competenza legislativa e giudiziaria):

“Ciò che riguarda le vertenze nelle cause matrimoniali e che non è materia spirituale, ma mischiato con la politica, questo resterà alla Signoria. Nondimeno abbiamo avvisato di lasciare al Concistoro la responsabilità di udire le parti, al fine di riportare il loro parere al Consiglio.”

Dunque a Ginevra il Concistoro, organo della Chiesa composto da pastori e magistrati, gioca un ruolo importante negli affari matrimoniali, un ruolo però morale, infragiudiziario. Troveremo la stessa situazione nelle nuove Chiese riformate in Francia, legalizzate dall’editto di Nantes, tenute a osservare il diritto canonico, il solo competente nel regno in materia di matrimonio (i Francesi non avevano scelta).

Nei territori protestanti, tanto luterani quanto riformati, una volta abolito il diritto canonico viene ricostruito dai magistrati un nuovo diritto, ispirato ai Riformatori, talvolta con la loro diretta collaborazione. Questa “riforma” del matrimonio concerne gli impedimenti, il consenso dei genitori, la cerimonia in chiesa, gli attacchi all’ordine del matrimonio, il divorzio.

– Le cause di impedimento del diritto canonico, numerosissime e fonte di introiti per la Chiesa attraverso il sistema delle dispense, vengono drasticamente limitate: per la parentela di sangue e di affinità, gli impedimenti generalmente ritenuti sono quelli del Levitico (Lv 18: tra ascendenti e discendenti in linea diretta, fratelli e sorelle, cognati e cognate). Gli impedimenti di parentela spirituale, degli ordini sacri e dei voti sono soppressi. Ecco un’altra cosa che va nel senso del matrimonio per tutti.

– In senso inverso vengono rafforzati il consenso dei genitori e la cerimonia pubblica in chiesa, e l’uno e l’altra divengono condizioni di validità del matrimonio. Su questo piano il matrimonio dei protestanti appare meno “liberale” di quello dei canonisti classici: la dottrina canonica, non senza esitazioni sul ruolo del sacerdote nel sacramento del matrimonio, era allineata al diritto romano dell’Impero, puramente consensualista (“Lo scambio dei consensi fa le nozze”), con gli inconvenienti della mancanza di pubblicazione obbligatoria: “matrimoni clandestini”, rischio di bigamia. Nel XVI secolo, soprattutto in Francia, le élite e la borghesia contestavano la dottrina della Chiesa che favoriva i “matrimoni clandestini”, a detrimento della patria potestà e dell’interesse della società. I protestanti sono stati sicuramente dalla parte dei “moderni”, all’occorrenza dalla parte dei padri contro la Chiesa.
Il diritto evolveSotto la pressione dei gallicani il Concilio di Trento, nel 1563 (decreto “Tametsi”), farà anch’esso del consenso dei genitori, come dei bandi di matrimonio e della celebrazione in chiesa, una condizione della validità del matrimonio.

Come il nuovo diritto canonico della Chiesa cattolica, gli ordinamenti politici dei luterani e dei riformati (e anche della Chiesa d’Inghilterra) prevedono i bandi e la cerimonia pubblica in chiesa, regolata da una liturgia celebrata dal pastore, e ne fanno delle condizioni della validità del matrimonio. Tuttavia queste cerimonie, derivate dalla cerimonia medievale e seguite dalla registrazione, non comportano una autonomia della Chiesa in materia di matrimonio (anche se la simmetria con la cerimonia canonica è un fattore di ambiguità).

La repressione della sessualità al di fuori del matrimonio, in particolare dell’adulterio, è inasprita perché contraria all’”onore del matrimonio”. È una conseguenza della promozione-santificazione del matrimonio da parte dei Riformatori. A dire il vero è un fenomeno generale nell’Europa moderna, ma in maniera del tutto particolare nei territori riformati, grazie a quell’istanza di controllo morale che è il Concistoro. In compenso, la sessualità nel matrimonio è libera e slegata dalle regole della Chiesa (divieto del “coito interrotto”, “tempi proibiti”…) e dalla confessione penitenziale, anche al di fuori dell’area di competenza dei concistori riformati.

Ma soprattutto, massima rottura con la società tradizionale, fondata sulla norma assoluta dell’indissolubilità del matrimonio cristiano: è autorizzato il divorzio (con la possibilità di risposarsi). Lutero si è lanciato per primo nella esplicita giustificazione del divorzio, una volta rifiutato il suo carattere sacramentale: nel suo sermone “La vita coniugale” lo ammette per diversi motivi: impotenza, adulterio, rifiuto dei doveri coniugali… Calvino da parte sua prevede il divorzio per adulterio (del marito come della moglie), assenza superiore ai dieci anni o abbandono del tetto coniugale.

Bucero va più lontano, sia nell’analisi del divorzio che nella sua liberalizzazione: rilegge da esegeta i vangeli con l’Antico Testamento, il diritto romano, il valore dell’”equità”; conclude

– che Gesù Cristo non ha abolito il divorzio giudaico (Mt 19,7-9);

– che se la “comunione di affetto” non esiste più tra gli sposi, il matrimonio non esiste più, il che autorizza a romperlo formalmente;

– infine che il secondo matrimonio è permesso “a tutti i viventi”, anche ai coniugi colpevoli, poiché secondo l’apostolo Paolo “è meglio sposarsi che ardere” (1 Co 7,9). Un’altra propaganda teologica a favore del matrimonio per tutti?

Senza essere estensivi come nel modello di Bucero, il divorzio introdotto sotto l’impulso dei Riformatori doveva essere per molti secoli una linea di demarcazione tra Paesi protestanti e Paesi cattolici. L’istituto del divorzio è certo indice di una secolarizzazione del matrimonio, anche se quest’ultima nel XVI secolo si trova ancora nell’ambito di uno Stato cristiano, o in altre parole di una Chiesa di Stato.
ConclusioneEssendo la condizione dei laici, il matrimonio è stato uno degli emblemi della rivoluzione luterana nel XVI secolo. Su questo terreno i Riformatori hanno dato una fortissima spinta al rovesciamento delle rappresentazioni, dei simboli, delle pratiche venerabili e sacre. Hanno osato proclamare nella lingua di tutti, la lingua “volgare”, le novità distillate da Erasmo: la santità del matrimonio, come ordine buono della Creazione, e il matrimonio per tutti, di pari passo con la desacramentalizzazione del matrimonio. Aprendo la porta alla secolarizzazione del matrimonio, i Riformatori, alleati ai politici, hanno suscitato violenti dibattiti, fino a dividere in maniera duratura i Paesi europei.

Contraccolpo delle guerre di religione del XVI secolo, l’esistenza delle minoranze confessionali all’interno degli Stati ha indirettamente contribuito ad estendere la secolarizzazione del matrimonio. Così, nella Francia ufficialmente “tutta cattolica” posteriore alla revoca dell’editto di Nantes, dei giuristi gallicani, lettori di Grotius e di altri giureconsulti protestanti della Scuola di diritto naturale, hanno elaborato un modello di matrimonio civile per i “non cattolici” del regno: è l’editto del 1787, che su questo punto prefigura la legge del settembre 1792 che istituisce il matrimonio civile, e in seguito, attraverso la penna di Portalis, il Codice civile del 1804.

Conserviamo la memoria di queste rivoluzioni, di questi drammi e queste battaglie, che dal XVI secolo hanno provocato lo spostamento del matrimonio romano-canonico nell’ambito politico e l’avvento del matrimonio civile in Europa, del matrimonio per tutti, senza distinzione di religione, di condizione o di razza. È stata questa memoria ad aiutare le successive modernizzazioni del diritto matrimoniale in Francia nel XX secolo. Sempre lei deve renderci attenti alle voci in favore dei nuovi cambiamenti, anche a quello che forza la definizione usuale del matrimonio, come propone l’attuale progetto di legge del Governo francese “che apre al matrimonio tra persone dello stesso sesso” (dopo tutto, il matrimonio dei preti voluto da Lutero è senza dubbio stato uno scossone non minore per la mentalità collettiva).
Un progetto spiegato maleCiò nonostante, viste le resistenze di buona parte della società francese a questo progetto (rifiuto di un’altra memoria francese?), non possiamo che rammaricarci della maniera in cui il progetto è stato lanciato. Non tocca al legislatore lavorare spiegando le sue scelte, spiegando una storia, con la sua dimensione propriamente francese? Non ha il dovere politico della memoria, per prendere la misura del cambiamento e inscriverlo in una costruzione collettiva di lungo corso?

Ora, di fronte alle resistenze la strategia politica sembra essere quella di minimizzare il cambiamento in questione. Si sente così dire, in alto loco, che il cambiamento toccherà solo il matrimonio civile: ma in Francia, a differenza della maggior parte dei Paesi citati come esempio (in particolare la Spagna), il matrimonio civile è il matrimonio, il matrimonio del Codice civile, del patto comune che riunisce tutti i Francesi. Quanto all’esposizione dei motivi del progetto di legge, essa è puramente fattuale, non spiega nulla. I soli motivi che enuncia sono:

1) l’evoluzione dell’opinione dei Francesi, oggi in maggioranza favorevoli all’apertura del matrimonio alle “persone dello stesso sesso” (ma in realtà i sondaggi non sono così netti);

2) l’auspicio delle “coppie di persone dello stesso sesso” di poter sposarsi e adottare dei bambini.

Non è un po’ poco se parliamo di un cambiamento enorme dell’istituto del matrimonio (e indirettamente, della genitorialità) nel “Codice civile dei Francesi”?

Per scuotere l’istituzione romana e far sorgere un mondo nuovo Lutero aveva fatto risuonare, nella lingua del popolo, la parola di Dio a partire da Genesi. Per fare del matrimonio civile della Rivoluzione francese (con il divorzio) il bene comune dei Francesi nel Codice civile, Portalis lo aveva spiegato appellandosi al diritto naturale, alla libertà di coscienza, all’idea di felicità. Al nuovo progetto di legge sul “matrimonio per tutti” non manca poi in fondo un Riformatore di lungo respiro che possa trascinare tutto un popolo e riunirlo?

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