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L’Incarnazione

 Il Simbolo Niceno-Costantinopolitano, promulgato nel 381, afferma che nella persona di Gesù Cristo vi è l’identità tra la natura divina e la natura umana. “ Vero Dio nato da vero Dio […] Ha preso la carne dalla Vergine Maria e si è fatto uomo “, tale è la definizione classica dell’incarnazione.

Come si è arrivati a un dogma così bizzarro, che non viene esplicitamente affermato nel Nuovo Testamento, anche se certi aspetti delle teologie paoliniche e giovanniche possono condurre ad esso? La posta in gioco è tripla: potere, identità, origine.

Al partire dal 327 Costantino diventa l’unico padrone dell’Impero. La sua intenzione è di imporre il cristianesimo come religione di Stato. Ma la prima cosa da fare è unificarlo essendo attraversato da correnti di pensiero diverse e concorrenti. Uno dei principali movimenti è guidato da Ario che rifiuta il culto reso a Cristo, non essendo quest’ultimo Dio. L’imperatore prende l’iniziativa di convocare il concilio di Nicea, aprendo una controversia che porterà alla definizione trinitaria di Costantinopoli. Lungo tutta la controversia le interferenze tra potere temporale e autorità spirituale sono continue, il primo strumentalizzando la seconda. Il pensiero speculativo non è al riparo dalle strategie del potere politico.

Seconda posta in gioco, l’identità. All’inizio, i cristiani sono ebrei dissidenti che puntano sulla dimensione universale del giudaismo per proiettarsi nel mondo globale dell’epoca. Ma possono davvero esistere, sul lungo termine, come semplice derivazione della religione-madre? Hanno bisogno di crearsi un’identità attuando una rottura tale che la madre non riconosca più i suoi rampolli. E cosa c’è di più scandaloso per una coscienza ebraica, segnata dall’irrepresentabilità del trascendente, della credenza in un Dio fatto uomo? Tale credenza, dal sentore pagano, farà esitare il grande Maimonide a proposito del monoteismo dei cristiani. Come contropartita, questo dogma permetterà loro di separarsi fabbricandosi un’identità propria.

Terza posta in gioco, l’origine. L’intera religione è un rapporto con l’origine. All’origine è posto l’assoluto, Dio stesso, senza intermediari né passaggi. Sulla montagna Mosè parla con Dio “ come a un amico “ ( Esodo 33,11 ). Riceve da lui la Legge e le consegne relative al santuario. In questo modo viene affermato che all’inizio il trascendente si rivolge direttamente al principe dei profeti che è allo stesso tempo, secondo la tradizione, l’autore della Torah.

Similmente, l’incarnazione permette ai cristiani di catturare l’assoluto per farne la loro origine. Se Gesù Cristo è Dio, egli esiste da tutta l’eternità, e precede la creazione del mondo. Di conseguenza non c’è più bisogno della Legge, ridotta al rango di rudere dimostrativo. A Natale e a Pasqua il trascendente si è manifestato, ponendo un inizio radicale.

Oserò aggiungere che il terzo venuto, l’Islam, riproduce questo schema per ragioni quasi identiche? All’incarnazione del Cristo risponde, nell’Islam, la concretizzazione della parola di Dio nella scrittura coranica, eterna, consustanziale all’Essere e tuttavia discesa in questo mondo contingente. Tanto che la scuola mutazilita, sensibile alla dimensione storica del Corano, fu un po’ l’arianesimo dell’Islam…

Resta il fatto che il trascendente sopravanza le religioni che pretendono di gestirlo. L’incarnazione è un tentativo tra gli altri di fissare ciò che si apre infinitamente all’Essere. La teologia guadagnerebbein credibilità se ammettesse l’evidenza che questo genere di tentativo non può che mancare il suo obiettivo.

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