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La Samaritana non era un’imbecille

Di Louis Pernot*

Ecco una interpretazione di questo episodio molto noto del vangelo di Giovanni, decisamente diversa dall’interpretazione tradizionale e più acuta di quanto una rapida lettura del testo potrebbe far credere.

 

Traduzione di Giacomo Tessaro

 

Tratto da Évangile et Liberté n° 290, giugno-luglio 2015

 

Tutti pensano che, nel dialogo tra Gesù e la Samaritana, le parole di Gesù siano da intendersi in maniera simbolica. Quando dice che può darci dell’acqua, nessuno interpreta letteralmente pensando che Gesù offra acqua corrente a tutte le nostre case per il comfort materiale delle casalinghe.

 

L’acqua è il simbolo della grazia di Dio, basta una pioggia o una sorgente nel deserto per salvare il viaggiatore assetato, per trasformare un luogo arido, arso e inospitale in un giardino verdeggiante, piacevole e fecondo. È precisamente quello che offre la grazia di Dio nella nostra esistenza: è la vita, è far germogliare il meglio che vi possiamo trovare per renderla bella e feconda. La promessa di Gesù va dunque letta simbolicamente come le altre promesse dei vangeli, come la sua luce che non si misura in kilowatt e le sue guarigioni, che sono più spirituali che mediche.

 

Quanto alla Samaritana, i commentatori in genere dicono che non capisce nulla, che prende alla lettera tutte le parole di Gesù, facendo di questo dialogo una sorta di qui pro quo; ma è una lettura discutibile. L’interesse di un vangelo così profondo come quello di Giovanni non può stare nel farsi beffe della stupidità di qualcuno che risponde goffamente: se fosse così, tutti i suoi interventi sarebbero dei nonsensi. Possiamo pensare invece che fin dall’inizio la Samaritana capisce molto bene di cosa si sta parlando e utilizza anch’essa un registro simbolico. Il dialogo con Gesù non è quindi un malinteso ma una serrata discussione sull’origine della grazia. La prova sta in quello che dice: se Gesù le desse l’acqua che le permettesse di non avere più sete, non avrebbe più bisogno di recarsi al pozzo. Questo è materialmente assurdo: l’acqua da bere rappresenta appena il 10% del suo fabbisogno: anche se non avesse più sete, la Samaritana dovrebbe comunque attingere per la cucina, il bucato e il resto. Inoltre, la menzione del “pozzo di Giacobbe” è bizzarra. Da nessuna parte nell’Antico Testamento si accenna a un pozzo in Samaria che avrebbe qualcosa a che fare con Giacobbe.

 

Tutto questo ha un senso esclusivamente spirituale. La Samaritana ragiona secondo la logica del giudaismo tradizionale, che pensava che lo Spirito avesse soffiato dall’epoca dei patriarchi fino a Mosè e che per avere la grazia bisognasse ritornare ad attingere alla sorgente del tempo antico. Ella ragiona secondo la logica dell’osservanza religiosa, secondo la quale la grazia si guadagna con le pene, il lavoro, le opere e il sudore della propria fronte. Gesù invece propone un’altra concezione: la grazia viene offerta, non bisogna guadagnarsela, basta chiederla. Ma, ribatte la donna, “tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo”. Fa fatica a crederci, la grazia è lontana, come può Gesù pretendere di donarla senza “mezzi di grazia”, senza riti e senza i vari obblighi? “Sei tu più grande di Giacobbe?” “Sì” le risponde Gesù. Egli è molto più grande dell’antica alleanza dei patriarchi, in lui vi è una nuova sorgente di rivelazione, di spirito e di grazia. Ciò che offre Gesù è una sorgente molto migliore del pozzo dei giudei e dei Samaritani. Un pozzo è una cisterna in cui ristagna un’acqua immobile, talvolta putrida; la sorgente invece offre un’acqua nuova e viva. Questa è una visione totalmente diversa della religione, che non cerca più in una tradizione antica dei rimasugli di soffio vitale ma trova lo spirito e la grazia direttamente alla sorgente, che è Cristo.

 

Gesù promette inoltre che ciascun credente può diventare a sua volta una sorgente per sé e per gli altri. La Samaritana lo capisce molto bene, capisce ciò che le dice Gesù: ha avuto cinque mariti (i cinque libri del Pentateuco, ovvero tutta la Scrittura dei Samaritani) e attualmente non ha una fede vivente, un marito, solamente una fede che è una convivenza con pratiche puramente umane. Capisce che il vero sposo è davanti a lei (il settimo), colui che realizza tutte le promesse, il Cristo, il Messia, che dona la pienezza della presenza vivificante di Dio.

 

* Louis Pernot è pastore della Chiesa protestante unita di Francia a Parigi e insegna all’Istituto protestante di teologia nella medesima città.

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À propos Gilles

a été pasteur à Amsterdam et en Région parisienne. Il s’est toujours intéressé à la présence de l’Évangile aux marges de l’Église. Il anime depuis 17 ans le site Internet Protestants dans la ville.

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